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Tornare in Italia, felici e orgogliosi di poter restituire al proprio Paese quanto si è appreso all’estero. E ritrovarsi ora in mezzo al guado, con la concreta prospettiva di dover rifare presto le valigie. Riceviamo e pubblichiamo la lettera che un gruppo di ricercatori, rientrati grazie ad uno dei bandi “per il ritorno dei cervelli”, ha inviato a “La Fuga dei Talenti”:
“C’è chi scappa e chi torna. Noi siamo tornati dopo essere scappati. Siamo 23 ricercatori, vincitori del prestigioso bando intitolato al Premio Nobel Rita Levi Montalcini, il vecchio Rientro dei Cervelli, per intenderci. Siamo stati selezionati nel 2010 sulla base della qualità, originalità e competitività dei progetti di ricerca da noi disegnati e presentati, ed un anno dopo abbiamo ‘preso servizio’. Veniamo da tutto il mondo, abbiamo formazioni variegate, ma due cose ci accomunano: abbiamo studiato o fatto ricerca in alcune delle più prestigiose università internazionali e siamo tornati in Italia dopo un’accurata selezione, con la speranza ovvero l’illusione di poter contribuire a migliorare i nostri atenei offrendo loro la nostra esperienza internazionale ed il nostro particolare percorso accademico.
Ora, a quasi due anni di distanza, ci ritroviamo a non sapere che cosa succederà di noi alla fine del nostro contratto triennale. Secondo i termini del bando, ci spetta un rinnovo di altri tre anni, con la possibilità di essere chiamati come professori associati dopo il secondo triennio. La parola ‘possibilità’ apre orizzonti incerti, e questo noi lo sappiamo bene, ma il rinnovo anelato e promesso? Dopo plurime sollecitazioni (nostre) sempre cadute nel vuoto e protratte per mesi, e qualche vaga risposta (del Ministero), non abbiamo né conferme né rassicurazioni. Tuttavia sia il rinnovo del nostro contratto, sia una successiva integrazione nell’organico degli Atenei, sono essenziali al fine di soddisfare le necessità che hanno spinto le università stesse ad assumerci: garantire la continuità del nostro lavoro allo scopo di contribuire alla crescita della ricerca italiana. Eppure, per ora, a poco sono valsi gli incontri al MIUR e le interrogazioni parlamentari, se non a rafforzarci nella convinzione della legittimità delle nostre aspettative.
Ci chiediamo e chiediamo a voce alta: qual è il senso del nostro contributo? Qual è il senso del programma Rientro dei Cervelli? Un contratto proiettato in un cul de sac accademico? Una visiting fellowship di tre anni applicata a giovani ricercatori qualificati che però non saranno più così giovani allo scadere del contratto triennale da potersi rimettere in gioco sul “mercato” internazionale?
Sulla carta, il nostro programma viene propagandato come un progetto lungimirante per riportare in Italia giovani ricercatori promettenti e sostenerli nella loro integrazione accademica, contrastando il clientelismo e nepotismo che avvelena i nostri atenei. Un fiore all’occhiello di cui far gran vanto politico.
Ma quali sono i fatti? Sono stati investiti negli anni milioni di euro per finanziare progetti di ricerca di alto calibro come il nostro sotto l’egida del Ministero, ma in che modo vengono incanalati a lungo termine?
Citiamo solo en passant la difficoltà maggiore, cioè riuscire a integrarsi quali elementi ‘alieni’ ed esterni nel contesto accademico italiano, avendo vissuto tanti anni all’estero e non avendo protezioni di sorta. E’ un processo in salita a dir poco, ma dobbiamo esser consci del fatto che almeno ci è stata data l’opportunità.
Il vero problema è la mancanza di programmazione, la miopia che rischia seriamente di rendere effimero un programma che avrebbe tutte le carte in regola per essere efficace. Il Rientro dei Cervelli potrebbe contribuire a svecchiare e sprovincializzare le università italiane, a portare un alito di brezza internazionale, che in concreto si traduce in fondi e contatti dall’estero (quanti awards e grants ha collezionato il nostro piccolo gruppo!), potrebbe smuovere l’Italia dall’essere relegata nel nadir delle graduatorie universitarie mondiali, potrebbe rendere fluida e semplice l’integrazione di giovani ricercatori volenterosi, motivati, produttivi, eccellenti nei loro campi.
E invece eccoci qui, in un limbo che nel nostro piccolo ci porterebbe a essere disoccupati nel giro di un anno e mezzo e, visto in una prospettiva più ampia, comporterebbe uno spreco ingiustificabile di soldi pubblici. Che prospettiva esiste per noi e per gli altri cervelli rientrati o rientranti? È davvero così difficile inserire nel mondo accademico nazionale 23 ricercatori afferenti alle più varie discipline e rendere in questo modo fruttuoso l’investimento fatto dallo Stato? Senza nessuna visione a lungo termine, senza nessuna volontà e organizzazione illuminata nel farci rimanere, l’idea di bandire concorsi come il Rientro dei Cervelli sortisce l’effetto contrario a quello sperato: i cervelli, se rifiutati da un sistema che li ha accolti solo sulla carta, scapperanno di nuovo e per le stesse ragioni per cui erano scappati la prima volta“.
I Ricercatori del Programma ‘Rita Levi Montalcini’, bando 2009
PER MAGGIORI INFO: clicca qui per leggere l’articolo di Claudia Cucchiarato su Repubblica.it
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