Il Magnitskij Bill è infatti il frutto avvelenato di una modifica di legge riguardante l’emendamento Jackson-Vanik del 1974, che escludeva l’allora Urss dal gruppo dei principali partner commerciali degli Stati Uniti e che i democratici avrebbero voluto abrogare definitivamente per facilitare l’ingresso di capitali russi sul mercato americano, specie su quello dell’energia: ma a marzo un gruppo di influenti senatori repubblicani, tra cui l’ex sfidante di Obama John McCain, hanno proposto di sostituirlo con il Magnitskij Bill, mettendo in serie difficoltà Obama sia nei confronti dell’elettorato che nei confronti della controparte russa.
Di fronte alla fermezza di Putin e con il dibattimento a Capitol Hill previsto di lì a ventiquattr’ore, Obama ha cercato di prendere tempo. Subito dopo il vertice, è intervenuto il suo vice-consigliere per la Sicurazza Nazionale Ben Rhodes, che ha invitato il Senato a tenere separati l’emendamento Jackson-Vanik e il Magnitskij Bill “in nome di una normalizzazione dei rapporti commerciali con la Russia, i cui investimenti sarebbero d’interesse per le imprese e per i lavoratori americani”. Poche ore dopo la dichiarazione di Rhodes, il senatore democratico della Virginia Jim Webb chiedeva ed otteneva che il previsto dibattimento in Commissione venisse rinviato a data da destinarsi: “Il Senatore Webb – si legge in una dichiarazione del suo portavoce - pur sostenendo le premesse del Magnitskij Bill, è preoccupato della terminologia utilizzata nella presente bozza in esame, e chiede che l’esame della legge venga posticipata per consentirne una revisione”.
Un trionfo di realpolitik: semmai il Magnitskij Bill dovesse far nuovamente la sua comparsa dalle parti di Capitol Hill, di certo la sua struttura risulterà nettamente modificata. Ma è probabile che ai repubblicani andrà bene anche così, anzi forse andrà ancora meglio: il loro candidato Mitt Romney avrebbe per le mani un’occasione in più per attaccare la debolezza di Obama in politica estera, sulla quale effettivamente il Grand Old Party progetta di sferrare l’attacco decisivo in autunno.
Le tensioni internazionali ed economiche rischiano però di far passare in secondo piano la vicenda umana di Sergej Magnitskij, che sarebbe stato l’agnello sacrificale in un gioco più grande di lui: lo ha rivelato più di un anno fa il quotidiano russo d’opposizione Vedomosti, citando gli esiti di un’inchiesta condotta dal Consiglio presidenziale per i Diritti Umani e che sarebbe stata voluta dall’ex presidente Medvedev subito dopo la morte del giovane legale. Secondo Vedomosti, il Ministero dell’Interno e il Fsb avrebbero fabbricato prove false per “incastrare” Magnitskij al fine di lanciare un avvertimento all’ Hermitage Capital Management Fund. Dagli esiti dell’indagine emergerebbe infatti la completa infondatezza delle accuse mosse al giovane avvocato: nessun caso di frode fiscale sarebbe stato riscontrato tra i suoi clienti.
Ad oggi, tuttavia, l’unico imputato nell’inchiesta per la morte dell’avvocato resta Dmitrij Kratov, direttore del penitenziario dove Magnitskij morì, che però è accusato solo di aver impedito che al detenuto venissero prestate cure mediche in un’apposita struttura ospedaliera.