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Il caso “Rezaian” e’ un monito a tutti gli Occidentali che intendono investire in Iran

Creato il 12 agosto 2015 da Nopasdaran @No_Pasdaran

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Affermare che in Iran in questo momento c’e’ un caso giudiziario di prima importanza, e’ una frase senza senso. Purtroppo, nella Repubblica Islamica attualmente ci sono diversi processi aperti assai rilevanti, che mostrano la faccia peggiore del regime. C’e’ un processo, su tutti gli altri, che maggiormente spicca e che deve rappresentare un monito per tutto l’Occidente. Non solo perché si fonda su accuse deboli e mai provate, ma anche perché dimostra come la legge – se cosi possiamo chiamarla – funziona in Iran e come sia capace di colpire cittadini con passaporti stranieri, quando le ragioni politiche lo richiedono.

Il caso in questione e’ quello di Jason Rezaian, corrispondente del Washington Post in Iran, in possesso del passaporto americano e di quello iraniano. Jason Rezaian e’ stato arrestato nel luglio del 2014 insieme alla moglie, Yeganeh Salehi, anche lei giornalista e corrispondente del giornale The National (quotidiano degli Emirati Arabi Uniti). La Signora Salehi, per sua fortuna, e’ stata rilasciata nell’ottobre del 2014, mentre il povero Jason e’ rimasto in prigione. Il corrispondente del Washington Post e’ rimasto in galera con l’accusa di “spionaggio”, una accusa che il giudice Salavati ha ricavato – a quanto dicono le indiscrezioni – da una lettera inviata da Rezaian ad Obama (tramite il consolato americano di Dubai) e dalle relazioni del giornalista con alcuni colleghi (come Lara Setrakian di ABC). Prove praticamente inesistenti, soprattutto se si considera che una spia che non intende farsi scoprire non manda lettere direttamente alla Casa Bianca e che le relazioni tra giornalisti sono praticamente la regola (No Pasdaran). Il giudice Salavati, per la cronaca, lavora direttamente con i Pasdaran e il Ministero dell’Intelligence.

Come suddetto, il processo Rezaian deve essere un monito per tutti gli Occidentali che intendono correre in Iran ed investire nella Repubblica Islamica. Questo caso, infatti, dimostra pienamente come lavora il sistema giudiziario iraniano: nonostante le regole scritte, infatti, Rezaian, e’ stato arrestato un anno fa e tenuto per mesi in galera senza un processo, senza il diritto ad un avvocato difensore e senza delle accuse formali. Per lui il processo e’ cominciato solamente nel maggio del 2015, senza alcuna possibilità concreta per l’imputato di confutare le accuse (Iran Human Rights). L’ultima sessione del processo – svoltasi il 10 agosto scorso – e’ stata l’ennesimo esempio della brutalità del regime clericale: all’avvocato difensore di Rezaian non e’ stato consentito svolgere la sua arringa difensiva in forma orale (ha potuto solamente consegnare un documento scritto alla corte). Non solo: anche la moglie di Rezaian e’ stata “caldamente invitata” a non parlare con i colleghi giornalisti (in pratica una minaccia bella e buona).

Sebbene oggi l’Iran venga rappresentato dai media come il nuovo eldorado, si tratta di mera propaganda. Questo eldorado ha un livello di corruzione altissimo (l’Iran e’ al 136º posto su 175 Paesi), un livello di censura tra i primi al mondo (al 7º posto per precisione) e soprattutto, come il caso Rezaian dimostra, può trasformarsi da un giorno all’altro in una vera e propria prigione. Si tratta di un rischio che, attualmente, le diplomazie Occidentali non stanno evidenziando volontariamente, interessate come sono ad isolare la Russia sfruttando le risorse iraniane. E’ un rischio, pero’, che ogni impresa e ogni singolo cittadino Occidentale deveno considerare quando decide di investire nella Repubblica Islamica. Il prezzo dell’indifferenza – soprattutto considerando la volatilità politica dell’Iran – può avere un costo assai elevato. Il processo contro Rezaian si dovrebbe concludere la prossima settimana. Indipendentemente dal verdetto finale, la sua detenzione illegale e la privazione dei diritti fondamentali, devono essere condannati senza alcun appello ed esitazione.

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