Il Caso Roswell, 66 anni dopo…

Creato il 08 luglio 2013 da Extremamente @extremamentex

Un piccolo Ufo precipitato sulla Terra con il suo pilota alieno che deve riuscire a riparare l’astronave per ripartire nello spazio: è il doodle animato ed interattivo -praticamente, in mini videogioco- che oggi Google dedica ad uno dei casi ufologici più famosi al mondo,ovvero il presunto schianto avvenuto a Roswell, in New Mexico, 66 anni fa. 

L'ARTICOLO PUBBLICATO L'8 LUGLIO DEL 1947

La data di oggi ricorda, in realtà, il primo articolo pubblicato proprio l’8 luglio del 1947 sul “Roswell Daily Record”, nel quale un comunicato della caserma locale dell’Aeronautica militare ammetteva il recupero di un oggetto volante non identificato i cui rottami si erano sparsi in un ranch della zona.

Una dichiarazione ufficiale e scioccante, che nel giro di poche ore venne smentita e rettificata: ad essere caduto sul terreno dell’agricoltore William Ware Mac Brazel era stato solo un pallone sonda. Le foto dei militari in posa accanto ai fogli di alluminio- provenienti, si assicurava,  dalla banale strumentazione meteorologica-  sono ancora oggi le uniche immagini d’epoca di quel misterioso episodio.

Misterioso, sì, e ancora “sub iudice”, perché nonostante tutti gli sforzi dell’Esercito per mettere a tacere la vicenda e per screditare i testimoni, nel corso degli anni è emersa un’altra verità: quella degli abitanti di questa cittadina della provincia americana che in quella notte tra il 2 e il 3 luglio del 1947 assistettero a qualcosa di eccezionale che non avrebbero mai dimenticato.

Per ovvi motivi anagrafici, molti di loro ormai sono deceduti. In tanti, hanno preferito portare con sé , nella tomba, quel segreto indicibile. I più coraggiosi lo hanno invece raccontato a figli, nipoti, amici anche a rischio di apparire pazzi. Perché i loro ricordi evocano scene da film di fantascienza: un’astronave sconosciuta che precipita dal cielo, cadaveri di creature aliene sparsi sul terreno, militari che intervengono per cancellare ogni prova.

Nel 1980, è stato l’ufologo e fisico Stanton Friedman a riportare alla ribalta mondiale quel caso frettolosamente archiviato. Grazie alle confidenze di uno dei protagonisti del “cover up” e alle ammissioni di alcuni testimoni oculari, nel suo libro “The Roswell Incident”  sosteneva l’ipotesi dello schianto di un Ufo subito coperto dalle autorità. Le fonti erano ben informate, le notizie molto circostanziate: il vaso di Pandora era stato scoperchiato. Le ulteriori indagini di altri ricercatori indipendenti hanno poi costretto il Governo ad aprire- ad oltre 30 anni dal fatto- un’inchiesta ufficiale.

IL FISICO STANTON FRIEDMAN, AUTORE DEL LIBRO "THE ROSWELL INCIDENT"

Due rapporti, pubblicati nel 1995 e nel 1997, hanno però concluso che a Roswell precipitò un modulo sperimentale supersegreto, denominato “Mogul 4”, lanciato dalla base di Alamagordo, al cui interno si trovavano manichini antropomorfi. Ecco spiegati i rottami e i corpi visti dai testimoni…

Tutto chiarito? Decisamente no. Alla sua morte, avvenuta nel 2005, Walter Haut- nel 1947, addetto alle pubbliche relazioni della base militare di Roswell- ha lasciato una sua memoria sull’accaduto. E nel suo “affidavit” ha messo nero su bianco che tutte le spiegazioni fornite dalle autorità civili e militari erano solo delle montature. Lui aveva visto i resti di quel velivolo, subito nascosto in un hangar, e anche quei corpi- assolutamente non umani.

Haut rivelava anche l’esistenza di un secondo luogo di impatto, oltre al podere di Mac Brazel, dove erano stati recuperati quasi tutti i rottami dell’incidente e spiegava la pulizia capillare compiuta dai militari per mesi, allo scopo di far sparire la pur minima traccia del crash.

Convinto che 66 anni fa, in quell’angolo di America, sia davvero successo qualcosa di incredibile è anche Edgar Mitchell, uno dei 12 uomini ad aver messo piede sulla Luna, cresciuto vicino alla cittadina del New Mexico. “All’epoca ero molto giovane, andavo al college. Mi ricordo che un giorno sui giornali c’era scritto che era precipitata un’astronave aliena e il giorno dopo i militari negavano tutto”, mi ha raccontato in una lunga intervista telefonica.

Una volta famoso, grazie alla sua impresa con Apollo 14, nei primi anni ’70 Mitchell andò a Roswell, accolto come una star, e molti cittadini lo avvicinarono per condividere con lui il loro segreto. “Molti erano solo dei bambini quando ci fu il crash, come ad esempio i figli dell’impresario delle pompe funebri: mi dissero che era tutto vero, il padre aveva fornito le bare per gli alieni morti, ma avevano sempre taciuto.”


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