Riceviamo e pubblichiamo questa riflessione di Federsupporter sviluppata a partire dall’attuale situazione del calciatore Sneijder.
A cura dell’Avv. Massimo Rossetti, Responsabile dell’Area Giuridico-Legale
Già nel passato Federsupporter, con alcune mie note, aveva avuto modo di occuparsi della crisi dei rapporti tra società e calciatori.
In particolare, fu il caso Pandev, ma non solo, a suscitare l’attenzione: caso che sfociò in decisioni della Giustizia Sportiva e di quella ordinaria (Giudice del Lavoro) che, in quel caso, stabilirono la risoluzione del contratto di lavoro del calciatore, per fatto e colpa della società di cui, all’epoca, era alle dipendenze, la quale lo aveva emarginato e non lo utilizzava sistematicamente, in quanto il calciatore si rifiutava di rinnovare il contratto in scadenza alle condizioni volute dalla società stessa.
In altri termini, sia la Giustizia Sportiva sia quella ordinaria sancirono che, sempre in quel caso, si era verificato un tipico comportamento datoriale di mobbing, a nulla rilevando, sotto questo profilo, la peculiarità del rapporto lavorativo e l’entità dei compensi dovuti al calciatore.
Al riguardo, è opportuno sottolineare che l’emarginazione del prestatore di lavoro costituisce un illecito, in quanto violazione dell’art.2087 C.C., che obbliga l’imprenditore a tutelare, non solo l’integrità fisica, ma anche la personalità morale di detto prestatore.
Norma che, peraltro, vale sia per i lavoratori subordinati, tali sono, per legge (legge n.91/1981) i calciatori professionisti, sia per quelli autonomi.
Ne consegue che tutti i coloro i quali hanno discettato e discettano, a vario titolo, sul caso Sneijder dovrebbero ricordarsi del caso Pandev e dei suoi esiti e dovrebbero tenere a mente gli aspetti giuridici sopra evidenziati.
Il contratto, qualsiasi contratto, è, come è o dovrebbe essere noto, legge tra le parti che lo hanno stipulato e, perciò, esso è modificabile o risolvibile, durante il suo decorso e prima della sua scadenza naturale, solo con il consenso delle parti stesse, non essendo consentito a queste ultime di poterlo unilateralmente modificare o risolvere in qualsiasi
momento a proprio piacimento.
Purtroppo, questi, pur elementari, principi sembra facciano fatica a farsi strada nelle menti e nei comportamenti di alcuni proprietari e gestori di società di calcio, i quali, dopo aver accordato condizioni contrattuali talora principesche e molto spesso di lunga durata (contratti quinquennali) ad alcuni calciatori, pretendono, poi, per motivi di propria convenienza o perché ritengono non più utili i calciatori stessi, di potersene ad libitum liberare o di rinegoziarne al ribasso le condizioni contrattuali.
Nè vale l’obiezione che, spesso, sono i calciatori a pretendere la rinegoziazione o il rinnovo, a loro favore, dei contratti in essere, perché nessun obbligo hanno le società di accogliere tali pretese, così come, però, non possono, a loro volta, pretendere rinegoziazioni o rinnovi unilaterali a loro favore.
Nè possono, almeno legittimamente, costringere o spingere il calciatore ad accettare rinegoziazioni o rinnovi a suo sfavore, emarginandolo dall’ambiente di lavoro e non utilizzandolo in maniera sistematica, non già per asserite, quanto poco verosimili, “ragioni tecniche”, bensì per palesi e reali ragioni economiche.
Tutto ciò premesso e considerato, ricordo che, già nel passato, Federsupporter aveva proposto di accorciare la durata massima consentita dei contratti individuali di lavoro dei calciatori, riducendola dagli attuali 5 anni a 3 anni.
Aveva, altresì, proposto, in alternativa, la possibilità di introdurre in detti contratti la clausola di rinegoziazione di questi ultimi dopo 2 anni, in caso di durata quinquennale, sulla base dei risultati ottenuti dalla squadra e dell’effettivo utilizzo del calciatore.
Aveva proposto, inoltre, la possibilità di prevedere nei suddetti contratti una clausola risolutiva espressa, non solo a favore del calciatore, come sovente avviene già oggi, mediante il pagamento di una penale forfetariamente predeterminata a favore della parte che subisce l’unilaterale e anticipata risoluzione del contratto, bensì anche a favore della società, mediante un’analoga corresponsione al calciatore, che subisce l’unilaterale e anticipato recesso, di una indennità forfetariamente prestabilita.
Perché queste proposte che, oltre ad essere giuridicamente valide, appaiono improntate a comune buon senso, non sono state mai, almeno finora, prese in considerazione ?
Forse perché l’unico principio e l’unica regola cui sembra vogliano attenersi, in tutti i campi, i proprietari e gestori delle società calcistiche o taluni di essi sono quelli del “faccio come mi pare” ?