C'era un sabato grigio che minacciava pioggia ad accogliere l'attore Michael Keaton e il giornalista, vincitore del premio Pulitzer, Walter Robinson, questa mattina a Roma. Una giornata che anche i numerosi giornalisti presenti e operativi avrebbero preferito trascorrere nella calma mattutina più totale, lontano dalla routine settimanale. Stati d'animo che, comunque, non appena nella sala conferenze destinata al dibattito fanno capolino i due protagonisti, si dissolvono in un batter d'occhio, lasciando spazio alla discussione interessantissima e coinvolgente in cui inevitabilmente hanno spiccato i temi del giornalismo e della religione.
Si è cominciato dal giornalismo d'inchiesta, fondamentale nella storia de "Il Caso Spotlight", un giornalismo che secondo qualcuno in sala, in Italia, forse, è completamente morto. Dall'alto della sua posizione Walter Robinson - che ringrazia sempre ad ogni domanda quelli che lui considera, troppo generosamente, diciamo, come dei colleghi - risponde, invece, che "se in America ancora non è morto, poco ci manca". "E' un malato terminale", dice. "La diffusione di internet ha privato i giornali e i quotidiani dei fondi necessari per svolgere questo tipo di giornalismo e tanti posti di lavoro, purtroppo, sono andati perduti. Negli Stati Uniti, come immagino anche in Italia, i direttori dei giornali sono dei pazzi, perché se chiedessero ai lettori qual'è il motivo principale per cui vale la pena di acquistare un quotidiano, si sentirebbero rispondere proprio: il giornalismo d'inchiesta. Eppure i direttori dei giornali sono pronti a tagliare i fondi proprio a quello, negando ai giornalisti la possibilità di andare a verificare ed approfondire e di mettere, magari, le istituzioni di potere in condizioni di assumersi le proprie responsabilità. Se non permettono a noi di fare questo lavoro, del resto, chi altro potrebbe farlo? Quando ciò non sarà più possibile, la gente non avrà più la possibilità di informarsi e ciò significherà la morte della democrazia".
A rafforzare un concetto, già di per sé granitico interviene allora Michael Keaton raccontando che nella città in cui è nato e cresciuto, a Pittsburgh, in Pennsylvania, il quotidiano ha una sezione locale di sei pagine dove non vengono approfondite le notizie, o almeno a lui non risulta che ci sia un lavoro investigativo. "Così quando scoppiò a Flint, in Michigan, un grosso caso di inquinamento da piombo nell'acqua", ha continuato, "un inquinamento che ha provocato, a lungo andare, dei danni cerebrali ai bambini che hanno riscontrato, in seguito, delle difficoltà di apprendimento, solo Erin Brockovich indagò su questo, sostenendo che le città coinvolte dall'inquinamento negli Stati Uniti fossero quasi un centinaio e Pittsburgh, probabilmente, poteva essere una di queste. Ora se ci fosse stato un team di giornalisti investigativi ad indagare e approfondire questo caso, giusto per fare un esempio, non sarebbe impossibile immaginare che una crisi spaventosa come questa avrebbe potuto essere fermata".
Un sostegno e una fiducia totale verso quel giornalismo vecchia scuola che Keaton difende a spada tratta e verso il quale ammette sinceramente un interesse profondo, aggiungendo che interpretare Walter Robinson è stata per lui come una benedizione. "Ho trascorso moltissimo tempo con Walter, abbiamo parlato oltre che dell'inchiesta, della vita in generale e di tanti altri casi che lui ha seguito e approfondito nella sua carriera. Essendo io uno curioso di natura ho assorbito letteralmente tutto quello che lui mi raccontava. Gli ho fatto tantissime domande sulla sua storia personale, la famiglia, come gioca a golf. Cercavo di cogliere l'essenza della persona oltre che del giornalista, aggiungendo, naturalmente anche qualcosa di mio, considerando che con le redazioni dei giornali ho una certa familiarità. E' la terza volta infatti che nella mia carriera interpreto il giornalista. Nella vita seguo giornali, programmi di approfondimento televisivi, mentre faccio fatica a seguire le notizie con la frequenza di aggiornamento di internet".
Interviene Robinson: "Michael è stato straordinario, molto professionale, ha colto ogni minima opportunità, riuscendo a carpire tutte le mie sfumature per incarnarmi al meglio: dal tono della voce alla mia gestualità, al modo di muovermi di camminare e di lavorare. Questo per riuscire a far si che la mia immagine sul film risultasse con il massimo realismo. Del resto per me Keaton è uno dei più grandi attori al mondo. Ecco perché quando ho scoperto che sarebbe stato lui a interpretarmi sono stato felicissimo e sono andato in estasi. Pensate che nel 1984 mentre io ero un caporedattore di cronaca locale e lui era stato ingaggiato per interpretare lo stesso mio mestiere nel film di Ron Howard, "Cronisti D'Assalto". All'epoca apprezzai tantissimo la sua interpretazione, perfetta in ogni minimo dettaglio. Tra l'altro se non avete visto "Cronisti D'Assalto" noleggiatelo.
Sul copione de "Il Caso Spotlight" invece ciò che ha convinto Keaton ad accettare è stata prima di tutta la tematica e la scrittura: "sarà che amo i film di Thomas McCarthy, li ho visti tutti tranne uno, e la storia di questa indagine giornalistica legata ai casi di abuso di minori da parte di sacerdoti, in particolare nell'Arcidiocesi di Boston, è stato uno dei motivi principali che mi ha spinto ad accettare la parte". A tal proposito ci si chiede che tipo di impatto la pellicola potrebbe avere sul pubblico italiano, una preoccupazione che secondo Keaton non ha motivo di esistere. Secondo l'attore: "il film, in Italia, avrà lo stesso impatto che avrà negli altri paesi. Ho partecipato a una serie di proiezioni con il pubblico e, ad una in particolare, è successo che un uomo alla fine mi ha avvicinato, ed ha insistito per ringraziarmi, rivelandomi di essere uno di quei "sopravvissuti" che proviamo a raccontare e a descrivere, una di quelle vittime di abuso che non aveva mai confessato a nessuno la sua storia. Del resto non credo il film punti il dito contro la religione in generale, penso che vada oltre la tematica di cui tratta. Io stesso ho ricevuto un educazione cattolica e se c'è un'aspetto che mi rende particolarmente triste è il distacco che questi casi di abusi e molestie creano nei confronti della fede, nei confronti della Chiesa Cattolica, da cui, magari, ci si allontana e si perde la fede. Mia madre è devota e praticante, non ha mai mancato una messa nella sua vita, tranne quando era malata. Io rispetto il credo di tutti, ma la situazione che viene mostrata nel film non riguarda solo la Diocesi di Boston o Boston, bensì paesi di tutto il mondo e quindi non può che suscitare l'interesse di tutti i fedeli".
E' quasi naturale a questo punto allargare il discorso e passare da Roma al Vaticano e dal Vaticano al nuovo Papa, cominciando dalla domanda provocatoria in cui qualcuno invita Robinson ad andare a trovare il Cardinale Law rilegato oggi alla cancelleria vaticana. "Il Cardinale Law pur essendo qui dal 2002 non ha mai più parlato con un rappresentante della stampa", ribatte però Robinson, "e credo che l'ultimo della categoria che ha ricevuto sono stato proprio io".
"Per quanto riguarda Papa Francesco", continua, "ho moltissime speranze in lui, come tutti. Rispetto quello che sta cercando di fare come privare i Vescovi e i Cardinali delle limousine, facendoli concentrare sulle attenzioni, sui bisogni e sulle esigenze dei fedeli. Teniamo in considerazione il fatto che una delle limousine più grandi e delle ville più grandi era stata assegnata al Cardinale Law e a tanti altri cardinali americani. La Chiesa è diventata sempre più una sorta di società clericalista, che esiste per il beneficio dei Vescovi e dei Sacerdoti, in generale, non per i fedeli. Il Papa sa benissimo che la situazione è questa e sta cercando piano piano di modificarla, però, e questa è la mia opinione e quella dei "sopravvissuti", malgrado tutto, per il momento, non è ancora stato compiuto un atto decisivo e sostanziale. Anzi quando Papa Francesco è venuto negli Stati Uniti ha lodato il coraggio dei Cardinali e dei Vescovi americani, offendendo moltissimi dei suoi sostenitori perché i Vescovi sono coloro che, di fatto, resistono al cambiamento e operano in suo favore soltanto quando hanno una pistola puntata alla tempia".
Keaton, dal canto suo, è più benevolo dice: "questo nuovo Papa mi piace molto, trovo stia facendo un lavoro immenso, spingendo un enorme masso per tentare di portarlo in cima alla collina. Ci sono però delle tematiche che vanno al di là di tutto ciò, come quella dell'abuso di potere da parte di chi il potere lo esercita. Prendo come esempio le forze dell'ONU, che dovrebbero garantire la pace in paesi molto poveri tipo l'Africa, e che non solo, spesso, fingono di non vedere, ma in qualche modo contribuiscono a casi di abusi come quelli del film, anziché tutelare le persone indifese".
C'è spazio, infine, anche per la polemica recente degli Oscar troppo bianchi, sulla quale Keaton però si sofferma brevemente poiché l'argomento, secondo lui, è molto più ampio. "Riguarda un genere di ineguaglianza che va oltre le persone di colore, ma verso tante altre situazioni di discriminazione presenti nel mondo. E' un'argomento vasto, complesso, ma al tempo stesso molto semplice: perché una cosa o è giusta o non è giusta, per cui dovrebbe facile raggiungere la giustizia e l'uguaglianza. Sugli Oscar, forse qualcosina andrebbe rivisto, ma non conoscendo bene i meccanismi di selezione non so dire altro, anche perché durante le nomination ero in giro a promuovere questo film".
Prima dei saluti, poi, l'attore ci tiene a ringraziare la platea per le belle parole ricevute: "davanti a tutti questi complimenti l'egocentrismo, capita, che faccia capolino e scateni quella vocina interiore che ripete continuamente: sei il migliore, sei il più bravo, sei fondamentale. Però, ci tengo a sottolinearlo sempre, io ho semplicemente fatto il mio lavoro, chi ha davvero fatto la differenza è stato Walter e gli altri giornalisti del team Spotlight. Io sono solamente un attore che ha avuto la fortuna di interpretare questo ruolo, sono i giornalisti i veri eroi di questa storia perché è stato eroico quello che hanno fatto e quello che continuano a fare. Noi siamo solo qui a godere dei loro frutti, dando anche noi, se possibile, il nostro piccolo contributo. Ma quello che hanno fatto loro è stato molto più importante di quello che ho fatto io, malgrado ritenga assolutamente fondamentale il ruolo dell'arte".