Intanto, ripropongo la mia recensione.
Quando l’ho visto lo scorso maggio a Cannes alla Quinzaine des Réalisateurs, dove aveva appena vinto due premi, il pubblico è stato compatto nel ridere e nel gradire, fino all’entusiasmo. Successo inequivocabile e unanime, successo popolare come raramente vedi ai festival. Risate, gran partecipazione, e poi un applauso che non finiva più. Da parte di spettatori, immagino, collocati in grandissima parte à gauche e sicuri sostenitori del matrimonio gay e magari anche delle adozioni omoparentali, ma che probabilmente non s’erano mica accorti di come Les garçons et Guillaume, à table! se ne andasse, e li portasse subliminalmente, da tutt’altra parte. Perché (spoiler) come lo vogliamo definire un film che, dopo aver messo in scena le avventure e disavventure comicissime di un giovane che non ce la fa ad essere maschio e che è attratto dai maschi più maschi di lui, alla fine ce lo mostra innamorato di una bella signora, eterosessuale contento e soddisfatto e pronto al matrimonio, e incazzato con la famiglia – la madre in primis – che lo aveva fino ad allora imprigionato nel ruolo della checca di casa? Un film che si conclude con il trionfale grido “Io non sono gay! A me piacciono le donne!” è riuscito miracolosamente non solo a non farsi beccare e rimbrottare dal perbenismo politically correct, ma a farsi applaudire forsennatamente da coloro che son pronti a evocare lo spettro dell’omofobia ogni due per tre. Di un’abilità diabolica, Guillaume Gallienne, che qui è interprete, anzi doppio interprete, autore, regista, tutto. Che è letteralmente il film, tratto da una pièce da lui scritta e portata, ovviamente con gran successo e tra molte risate, nei teatri di Francia e credo anche parecchio autobiografica. Mica per niente il protagonista si chiama Guillaume, e la storia ha tutta l’aria di essere stata, almeno nelle sue linee di fondo, vissuta davvero. Come Psycho di Hitchcock, però da sghignazzo. Anche qui c’ è un ragazzo che si identifica con l’adorata, pur se temuta e brusca mammà, al punto da sentirsi femmina come lei, e tanto per non sbagliare e non lasciarci il minimo dubbio al riguardo, Guillaume Gallienne interpreta anche la parte di lei, la genitrice, in uno sdoppiamento alla Anthony Perkins e però grazie a Dio senza spargimenti di sangue (a teatro Gallienne interpretava tutti i personaggi, qui si è limitato). E però, quanto ci si diverte, più che con tutti i post-cinepenettoni di quest’anno messi assieme. Ecco, dunque, il giovane Guillaume adolescente in una casa grande e borghesissima-parigina, con un padre che fa il padre ottuso e una madre assai intelligente e per niente sentimentale e sempre molto acuminata e tranchant anche con quel figliolo che non ha poprio l’aria di essere un maschio riuscito. Se gli altri due fratelli son la gioia del babbo e e fan sport e conquistano ragazze, lui, Guillaume, è timorato di tutto, non gioca manco a ping pong, si lascia andare a rischiose rêveries immaginandosi nei panni e nelle crinoline della granduchessa madre alle prese con Sissi nell’imperial palazzo di Vienna (ed è una scena irresistibile) e inventandosi abbigliamenti da gran dama con coperte e lenzuola. Effemminato, effemminatissimo. Roba da Vizietto, c’avete in mente? Tutto il repertorio del ragazzo gayzzante alle prese con il mondo là fuori, soprattutto la scuola, assai mascolino. Lo spediscono a fortificarsi il carattere in un collegio inglese, e lui va a innamorarsi di un compagno di classe cui però piaccion inesorabilmente e inequivocabilmente le ragazze, specie se bionde e sciape. Gallienne resuscita tutto l’armamentario classico e oramai desueto di smorfie e mosse e mossette e mignoli alzati e colpi d’anca di un’omosesssualità vetusta da Madame Royale, oggi dimenticata, persa, rimossa, eppure, bisogna ammettere, molto molto divertente. Ma lui è omosessuale o sono gli altri, è la famiglia a considerarlo tale e forse a volerlo tale? Questa è la domanda che serpeggia lungo tutto il film, e che non è per niente ridanciana, anzi, solleva parecchi questioni di peso. Gallienne nei modi di uno scintillante e trdizionalissimo vaudeville parigino con uso di travestimento ci trascina senza darlo a vedere nel gorgo, che rischia di essere senza fondo e senza fine, dell’interrogarsi su cosa sia questa benedetta omosessualità, se sia innata o indotta culturalemente e quanto l’una e l’altra cosa ecc. ecc. Lui una risposta ce la dà chiara: tutta colpa della famiglia, anzi di mamma, almeno nel caso (proprio nel senso di caso freudiano) mostratoci in questo film. Sei tu, mamma, che non hai mai creduto alle mie chance di essere un maschio, separandomi dal mondo virile con quel tuo quotidiano ‘I ragazzi e Guillaume, a tavola!’ che mi distingueva, come fossi di altra specie, dai miei due fratelli. Questo è l’urlo lanciato da Tutto sua madre, ed è un urlo che non possiamo non stare a sentire. Guillaume adora sentirsi una donna, ma non si sente omosessuale. Quando prova ad esserlo frequentando i locali gay e tentando un paio di avventure con gente incontrata lì, si ritrae deluso e abbastanza inorridito da persone e ambienti e rituali e altre cose identitarie (e la scena del ragazzo arabo che lo trascina nella banlieu a far da puttana a lui e ai suoi fratelli è un altro momenti di sommo divertimento, con qualche brivido). Da una risata all’altra si arriva a quel finale di conversione all’eterosessualità che lascia abbastanza sbalorditi e increduli. Si è cianciato sui media, all’uscita di Tutto su mia madre in Francia, e anche in Italia, di un film che si fa beffe dei vari ruoli e inalbera la bandiera della libertà assoluta, la libertà di entrare e uscire dalle gabbie delle varie identità sessuali, siano esse omo e/o etero, e di dissolverle. Che stupidata. Tutto sua made non è per niente un manifesto della flessibilità dei e tra i generi, è la narrazione (quanto esemplare?) di un giovane uomo che oscilla tra polarità maschile e femminile e rifiuta quanto ci sta in mezzo percependolo come confuso e irrisolto, e finisce coll’assumere una identità rigorosa, certa, senza se e senza ma. Maschile e basta. Potrà non piacere alle anime belle del politically correct e ai teorici e pure ai praticanti della non-esistenza dei ruoli sessuali, ai negazionisti della loro rigidità e fissità, ma questo è Tutto sua madre. Da notare come sotto il nome di Guillaume Gallienne nei credits appaia la dicitura ‘della Comédie Française’. I francesi anche quando si divertono en travesti, ci tengono all’istituzionalità, altroché. Gallienne lo vedremo tra non molto come Pierre Bergé nel biopic su Yves Saint Laurent di Jalil Lespert che sta attirando folle di spettatori nei cinema francesi e sarà proiettato all’imminente Berlinale. Intanto, meglio non perdersi questo assai acuto e insolito film.
Il caso TUTTO SUA MADRE: stravince ai César, ma da noi è stato un flop
Creato il 01 marzo 2014 da LuigilocatelliPotrebbero interessarti anche :
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