Il castagno nell'arte e nella cultura

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  • Bodino di castagne della Petronilla

  • Budino di spuma di castagne della Petronilla
  • Busecchina lombarda con castagne secche

  • Castagnaccio della Petronilla

  • Castagne ricoperte di cioccolato

  • Tacchino ripieno di castagne e prugne

  • Tacchino ripieno arrosto della Petronilla

  • Castagne al rum

  • Marmellata di castagne 

  • Pallottoline e palline di castagne

  • Monte bianco della Petronilla


Il castagno nell'arte e nella cultura

Letteratura italiana

Come dettaglio ricorrente nel paesaggio rurale e strettamente correlato alla civiltà contadina, il castagno è frequentemente citato nella letteratura, in genere come elemento di sfondo del contesto specifico o, talvolta, come oggetto specifico dell'opera. Quelli che seguono sono solo alcuni esempi tratti dalla letteratura italiana.

Il Boccaccio (1313-1375) cita il castagno nel Decameron come elemento del paesaggio rurale affiancandolo all'olivo e al nocciolo.

« Ivi forse una balestra rimosso dall'altre abitazioni della terra, tra ulivi e nocciuoli e castagni, de' quali la contrada è abondevole, comperò una possessione »

(Giovanni Boccaccio, Decameron.)

In Proserpina, quinto idillio dell'opera La sampogna, Giovan Battista Marino (1569-1625) descrive Vertunno, dio dei giardini e della frutta nella mitologia romana, con due ricci di castagno al posto delle tempie:

« Ne l'una e l'altra tempia
tien duo non anco aperti
di pungente castagno ispidi ricci »

(Giovan Battista Marino, La sampogna. Proserpina Idillio 5)

Nel 1771, Giuseppe Parini (1729-1799), su incarico della Casa d'Asburgo, descrisse i festeggiamenti in onore delle nozze fra Ferdinando d'Asburgo-Este e Maria Beatrice d'Este in Descrizione delle feste celebrate in Milano per le nozze delle LL. AA. RR l'Arciduca Ferdinando d'Austria e l'Arciduchessa Maria Beatrice d'Este fatta per ordine della Real Corte l'anno delle medesime nozze. In un passo di quest'opera descrive uno dei carri allegorici del corteo, che rappresentava un castagno, sotto la cui chioma pascolava un gregge di pecore.

«Il primo di questi, che nella sua perfetta semplicità venne giudicato bellissimo, era un carro rappresentante un piccolo spazio di terreno, sopra di cui elevavasi un alto castagno. All'ombra di questo forse dodici pecore stavano pascendo l'erbe; e un biondo e rubicondo pastore, appoggiandosi al tronco ... »

(Giuseppe Parini, Descrizione delle feste ...)

Ippolito Nievo (1831-1861), nel secondo capitolo del romanzo Le confessioni d'un italiano, ricorre alla metafora del pollone emesso dalla vecchia ceppaia di castagno, per descrivere il rapporto che legava la giovane Clara, fin dalla sua infanzia, alla nonna inferma.

« Sembrava fin d'allora il rampollo giovinetto di castagno che sorge dal vecchio ceppo rigoglioso di vita. »

(Ippolito Nievo, Le confessioni d'un italiano)

Nell'ode Piemonte, Giosuè Carducci (1835-1907) cita il castagno nel riferimento storico all'esilio portoghese di Carlo Alberto di Savoia, a seguito della sconfitta di Novara e l'abdicazione in favore di Vittorio Emanuele II. Carlo Alberto si ritirò ad Oporto, in una villa presso la foce del Douro, in vicinanza della quale sorgeva un bosco di castagni.

« E lo aspettava la brumal Novara
e a' tristi errori mèta ultima Oporto.
Oh sola e cheta in mezzo de' castagni
villa del Douro,
che in faccia il grande Atlantico sonante
a i lati ha il fiume fresco di camelie,
e albergò ne la indifferente calma
tanto dolore! »

(Giosuè Carducci, Rime e Ritmi: Piemonte)

Il castagno diventa addirittura un protagonista nelle opere di Giovanni Pascoli (1855-1912), che dedicò all'albero interi componimenti. Il castagno, nella sezione Alberi e fiori della raccolta Myricae enfatizza il ruolo della pianta nella civiltà contadina di un tempo: esso accompagna, con la sua costante presenza, la scansione delle stagioni, e nelle freddi sere dell'autunno e dell'inverno diventa un protagonista nella vita della famiglia contadina, con lo scoppiettìo della sua corteccia che brucia nel focolare e le castagne che cuociono nella pentola.

« Per te i tuguri sentono il tumulto
or del paiolo che inquïeto oscilla;
per te la fiamma sotto quel singulto
crepita e brilla:
tu, pio castagno, solo tu, l'assai
doni al villano che non ha che il sole;
tu solo il chicco, il buon di più, tu dai
alla sua prole; »

(Giovanni Pascoli, Il castagno)

Non meno suggestiva è Il vecchio castagno, nei Primi poemetti, dove il Pascoli raffigura un vecchio albero come essere animato che parla alla pastorella Viola esortandola a prendere l'accetta.

« ...Viola!... Violetta!...
Non la vedi costì? C'è da stamani.
Ce l'ha lasciata il caro zio. L'accétta!
La piglia su, domani, oggi, a due mani,
e picchia giù. Dove ella picchia, guai
a quei frassini! tristi quelli ontani!
e quei castagni! Non credevi mai,
Violetta? Lo credo! Ero il più grande!
Sono il più vecchio. Ella è per me: vedrai. »

(Giovanni Pascoli, Primi poemetti: Il vecchio castagno)

Oltre alle due citate liriche, non mancano comunque altri riferimenti più o meno espliciti nella poesia del Pascoli (per esempio nel componimento in latino Castanea) e in alcuni suoi saggi, al castagno come pianta e alla cultura contadina del castagno.

Il castagno e i suoi frutti appaiono anche nel ritratto che Grazia Deledda (1871-1936) fa della famiglia di zia Grathia, nel romanzo Cenere. La Deledda presenta la castagna sia come bene economico sia come componente integrante della quotidianità nella famiglia rurale della montagna barbaricina.

« Le castagne del piccolo Zuanne scoppiavano fra la cenere che si spargeva sul focolare.
...
Eravamo sposi da pochi mesi; eravamo benestanti, sorella cara: avevamo frumento, patate, castagne, uva secca, terre, case, cavallo e cane.
...
Si alzò, accese una primitiva candela di ferro nero, e preparò la cena: patate e sempre patate: da due giorni Olì non mangiava altro che patate e qualche castagna. »

(Grazia Deledda, Cenere)

Il poeta ottocentesco sardo Peppino Mereu (1872-1901) cita il pane di castagne, come alimento rifugio dei poveri in tempi di carestia, nella sua più celebre poesia, Nanneddu meu. La poesia, che ha subito diversi arrangiamenti musicali nei canti popolari della Sardegna e in una più nota versione interpretata dal gruppo dei Tazenda, è un canto di protesta che, in forma di lettera ad un amico, descrive lo stato di miseria e oppressione in cui versavano gli strati sociali più bassi nella metà dell'Ottocento.

(SC)
« Famidos nois semos pappande
pane e castanza, terra cun lande
terra ch'a fangu, torrat su poveru
senz'alimentu, senza ricoveru. » (IT)
« Affamati noi stiamo mangiando
pane di castagne e terra con ghiande
terra come il fango, ridiventa il povero
senza cibo, senza ricovero. »

(Peppino Mereu, Nanneddu meu)

Il Castagno dei Cento Cavalli è citato in alcune poesie in siciliano o in italiano. Il poeta ottocentesco siciliano Giuseppe Borrello (1820-1894) citò in una sua poesia la leggenda da cui deriverebbe il nome dell'albero. La leggenda narra di una "regina Giovanna", la cui identità non è storicamente accertata, che in occasione di un suo viaggio in Sicilia si riparò con il suo seguito sotto il castagno durante un temporale.

(SCN)
« Un pedi di castagna tantu grossu
ca ccu li rami so' forma un paracqua
sutta di cui si riparò di l'acqua, di fùrmini, e saitti
la riggina Giuvanna ccu centu cavaleri,
quannu ppi visitari Mungibeddu vinni surprisa di lu timpurali.
D'allura si chiamò st'àrvulu situatu 'ntra 'na valli
lu gran castagnu d'i centu cavalli. » (IT)
« Un piede di castagna tanto grosso
che con i rami forma un ombrello
sotto il quale si riparò dalla pioggia, dai fulmini e dalle saette
la regina Giovanna con cento cavalieri
quando per visitare Mongibello venne sorpresa dal temporale.
Da allora si chiamò quest'albero situato entro una valle
il gran castagno dei cento cavalli. »

(Giuseppe Borrello)

Un'altra citazione dello stesso albero si ritrova in un sonetto del poeta siciliano Giuseppe Villaroel (1889-1965), in italiano, nel quale è descritta la maestosità dell'albero con suggestive metafore.

« Dal tronco, enorme torre millenaria,
i verdi rami in folli ondeggiamenti,
sotto l'amplesso querulo dei venti,
svettano ne l'ampiezza alta de l'aria. »

(Giuseppe Villaroel)

Ancora come elemento figurativo rappresentativo del paesaggio boschivo, il castagno è riproposto da Italo Calvino (1923-1985) in un racconto di Ultimo viene il corvo. Un castagno dal tronco cavo si presenta agli occhi del partigiano Binda, mentre attraversa i boschi per portare gli ordini alle postazioni.

« Un castagno dal tronco cavo, un lichene celeste su una pietra, lo spiazzo nudo d'una carbonaia, quinte di uno scenario spaesato e uniforme, s'animavano in lui radicate ai ricordi più remoti ... »

(Italo Calvino, Ultimo viene il corvo: Paura sul sentiero)

Letteratura straniera

Herman Hesse (1877-1962) dedicò al castagno l'apertura del suo Narciso e Boccadoro descrivendo il maestoso albero ubicato presso l'ingresso del seminario di Maulbronn, nella Germania meridionale, dove studiò da giovane. Nella descrizione, Hesse cita alcuni aspetti che evidenziano la natura esotica del castagno (solitario figlio del Sud) e la sua posizione al limite settentrionale dell'areale: l'entrata tardiva in vegetazione e la difficoltà di maturazione a causa della brevità della stagione vegetativa sono infatti condizioni sfavorevoli alla diffusione di questa specie nell'Europa centrale, determinandone la sporadicità. Ancora una volta viene l'arte mette sottolinea l'immagine suggestiva dei frutti rilasciati in autunno e arrostiti nel fuoco del camino.

« Davanti all'arco d'ingresso, retto da colonnette gemelle, del convento di Mariabronn, sul margine della strada c'era un castagno, un solitario figlio del Sud, che un pellegrino aveva riportato da Roma in tempi lontani, un nobile castagno dal tronco vigoroso; la cerchia de' suoi rami si chinava dolcemente sopra la strada, respirava libera ed ampia nel vento; in primavera, quando intorno tutto era già verde ed anche i noci del monastero mettevano già le loro foglioline rossicce, esso faceva attendere ancora a lungo le sue fronde, poi quando le notti eran più brevi, irradiava di tra il fogliame la sua fioritura esotica, d'un verde bianchiccio e languido, dal profumo aspro e intenso, pieno di richiami, quasi opprimente; e in ottobre, quando l'altra frutta era già raccolta ed il vino nei tini, lasciava cadere al vento d'autunno i frutti spinosi dalla corona ingiallita: non tutti gli anni maturavano; per essi s'azzuffavano i ragazzi del convento, e il sottopriore Gregorio, oriundo del mezzodí, li arrostiva in camera sua sul fuoco del camino. »

(Herman Hesse, Narciso e Boccadoro)

Il castagno figura, sia pure come elemento secondario di sfondo, anche nello scenario che accompagna le riflessioni esistenziali di Antoine Roquentin ne La nausea di Jean-Paul Sartre (1905-1980):

« Invano cercavo di contare i castagni, di situarli in rapporto alla Velleda, di confrontare la loro altezza con quella dei platani: ciascuno di essi sfuggiva dalle relazioni nelle quali io cercavo di rinchiuderli, s'isolava, traboccava. »

(Jean-Paul Sartre, La nausea)

In "1984" di George Orwell sono presenti alcuni riferimenti al castagno: il bar frequentato dal protagonista Winston Smith si chiama "Bar del Castagno", e lungo l'intero romanzo viene citata la "Canzone del Castagno"

« Sotto il castagno, chissà perché.

Io ti ho venduto, e tu hai venduto me:
sotto i suoi rami alti e fortiessi sono defunti e noi siam morti. »

(George Orwell, 1984)

Pittura

Il carattere di rappresentatività del castagno come elemento paesaggistico o della civiltà rurale lo ha portato anche ad essere raffigurato come soggetto nella pittura.


Jean Houel (1735-1813).
Castagno dei Cento Cavalli.
Alfred Sisley (1839-1899).
Viale di castagni.
Koloman Moser (1868-1918).
Fiori di castagno.

Paul Cézanne (1839-1906).

Castagni.


Camille Pissarro (1830-1903).
Castagni.
Giuseppe Arcimboldo (1527-1593).
Rodolfo II in veste di Vertunno

Fonte Wikipedia


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