Guido Ceronetti, Albergo Italia, Einaudi, Torino 1985 (pag. 58-59).
Un telefono che squilla.- Pronto?- Parlo con te, Dio?- Certo, perché con chi vorresti parlare? A questo numero rispondo soltanto io. Abito solo, non ho servitù. Dimmi: che cosa vuoi? Ti prevengo: nessuna parola sul terremoto e il maremoto in Giappone.- No, non volevo importunarti su questo. Ma su quanto scrive Ceronetti sopra. È vero che senza Te il mondo non ha senso? Che tu daresti senso anche alla catastrofe?- Se ci fossi, e se garantissi una specie di vita eterna – non stiamo qui a discutere sotto quale forma e in quale posto, potrebbe essere anche Monculi di Sopra – forse sarei tentato di dire di si. Ma dato che io esisto solo nelle vostre menti e non sono una realtà concreta (come la catastrofe) non posso pronunciarmi nel merito, anche perché anche io ho dei limiti immaginativi su come potrebbe essere la vita eterna. Secondo me... due palle. Ma è un giudizio soggettivo. Vedi, voi umani da quando mi avete fatto esistere e mi avete destinato ad un surrettizio aldilà, mi avete di volta in volta spedito anime dei vostri morti, vuoi per essere dannate, vuoi per essere purgate, vuoi per essere beatificate. Bene, devo confessare che se io fossi il vostro Creatore e avessi pensato e creato una creazione siffatta, sarei stato proprio un coglione.- E perché dici questo, Signore?- Seguimi. Lascia perdere, per un attimo, tutta la questione del peccato, del male, della colpa e della redenzione. Non considerare l'inferno, il purgatorio o il paradiso. Anzi, facciamo così. Ti dico che fin d'ora io, che sono Dio, nel giorno del Giudizio, condono tutti, bravi e cattivi, belli e brutti. Per tutti vita eterna. Bene, a spettacolo terrestre finito, mi spieghi chi cazzo me lo avrebbe fatto fare tutta questa messa in scena se io potevo subito, sin dal primo istante, mettervi tutti lì bellini nei vostri loculi di beatitudine orgasmica a poppare al seno della via lattea, grande Tetta universale? Te lo immagini che spreco inaudito di tempo? Lo so che io, in quanto Dio, di tempo ne ho quanto voglio. Ma buttarlo così, il tempo, per vedere la storia di un pianeta piccolo piccolo e, soprattutto, di una specie animale glabra che ha sviluppato particolari doti cerebrali, via, ma mi ci vedi?- Sì, ti ci vedo, d'altronde ti glorifichiamo per questo, nell'attesa della tua venuta.- Ma io sono venuto con voi.- Dove?- Al mondo, nel mondo. Io sono venuto da quando mi avete pensato. Prima non ero nemmeno io. Prima non esistevo. Ero un'idea possibile. Sono rimasto sempre un'idea. Non sono come l'energia nucleare che c'è sempre stata qualche parte, nel mondo, e voi l'avete trovata, lo scorso secolo, e utilizzata per vari scopi, prima per scopi bellici e poi per scopi civili. Bene, io non sono come il nucleare. Io non sono da qualche parte nel mondo in attesa di essere scoperto, analizzato, formulato, espresso, applicato. Beh, in un certo senso mi avete già utilizzato e mi state utilizzando per scopi bellici e civili. Ma il problema è che io non sono racchiuso in una teoria, in una formula appunto. Anzi, ogni volta che qualcuno dice di aver visto, di conoscermi, di parlare con me come fai te ora, fa un'opera di dissolvimento. Hai presente il soffione o tarassaco?- Sì, il fiore giallo che diventa una palla lanuginosa che il vento sperde per diffondersi e riprodursi.- Ecco. Voi umani, ogni volta che parlate di me, mi disperdete nell'aere, ma poi io ricado e affondo le mie radici sulle vostre piazze, sulle vostre case, sulle vostre menti ancora bisognose di un Padrone.- E dunque dobbiamo smettere di rammentarti, di pronunciarti, di pregarti, di soffiare sul tuo nome o Signore?- Sì, in un certo senso sì. Ma soprattutto una cosa dovete fare: spengete l'incendio del castello di Fukushima.
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