Inutile dire che il nuovo film di Christopher Nolan The Dark knight rises uscito questo fine agosto 2012 nelle sale cinematografiche, ha un “concept” che ricalca perfettamente, e comunque molto più di qualsiasi altro film su Batman mai realizzato fino ad oggi, il graphic novel che nel lontano 1986 cambiò per sempre l’industria dei comics americani sui supereroi e anche lo stesso “character” creato negli anni trenta da Bob Kane: The dark knight returns di Frank Miller. Si cambi infatti il “villain” del film (Bane) con il capo dei mutanti che appare nel fumetto, si cerchino le dovute somiglianze nella trama ed il gioco è fatto. Dunque i paragoni sorgono spontanei.
Premesso che il linguaggio cinematografico è assai diverso da quello fumettistico, soprattutto nel caso del fumetto supereroistico americano dove le pagine sono solitamente strapiene di dialoghi che spezzano il ritmo in modo antinaturalistico, mentre un film di supereroi spesso e volentieri abbandona le chiacchiere per immergersi totalmente nell’azione, paragoni non si dovrebbero di norma fare. Fumetto e cinema, benché si creda il contrario, hanno due linguaggi solo apparentemente uguali.
Come ho già detto la storia è a grandi linee la stessa, i mezzi impiegati per la realizzazione del film sono assolutamente spettacolari ma il risultato è assai deludente nel paragone tra il film ed il fumetto, ma anche tra il film ed i suoi due capitoli precedenti (senza contare, in aggiunta, gli ormai datati ma ancora oggi ottimi film di Tim Burton). Gli errori, se così si possono chiamare quelle scelte stilistiche che rendono il film incomparabilmente inferiore al comic book, sono ascrivibili a due categorie: ciò che del fumetto è stato tenuto e ciò che invece è stato cambiato, ed entrambe hanno una questione di ritmo alla base.
Il primo problema è stato nella mancata riproduzione dell’azione serrata del fumetto, dove l’adrenalina è sempre al massimo sin dalla prima pagina (figura 1). L’azione nella storia di Miller è sempre spezzettata ed in crescendo: l’autore procede creando sempre dei climax nell’intreccio narrativo immortalati in disegni dalle inquadrature molto spesso titaniche, dove Batman e i suoi nemici si ergono come grandi statue per darsi battaglia, oppure ricreando la velocità della comunicazione televisiva con vignette piccole ed in serie, con il chiaro scopo di non far mai rifiatare l’azione né il lettore. Il ritmo non è mai ricreato poi con lo stesso artificio, ma varia molto spesso: la scena del sogno di Bruce Wayne che ripensa alla morte dei suoi genitori e sulla sua conseguente decisione di impegnarsi nella lotta contro il crimine è ad esempio creata con una sorta di ‹‹effetto rallenty›› (figura 2a e 2b).
Se guardiamo il film invece notiamo che questi crescendo narrativi e ritmici non ci sono, cosa strana poiché Nolan li aveva utilizzati molto bene invece nel capitolo precedente della trilogia, The dark knight, in cui si inizia in “medias res” con la spettacolare rapina del Joker alla banca e poi con la scena di Batman che arresta a suon di pugni un gruppo di spacciatori di droga. Il film poi proseguiva con intermezzi parlati da non più di dieci minuti, alternati a battaglie sempre più rocambolesche e spettacolari dal punto di vista degli effetti speciali e della durata. In questo terzo capitolo invece non c’è nulla di tutto ciò e metà del film serve solo a presentare i numerosi personaggi lasciando anche molte cose non chiare a chi si è perso i capitoli precedenti della trilogia: Bruce Wayne/Batman, il commissario Gordon, il giovane poliziotto che diventerà Robin nel finale del film, Catwoman, Bane, le tante sottotrame tolgono molto spazio all’azione, e ciò ha creato un rallentamento nel ritmo del film che non riesce quasi mai, escluse poche e spettacolari scene, a raggiungere un picco di tensione drammatica. L’impressione è dunque che Nolan abbia tentato di mantenere un’azione spezzettata come nel fumetto, mettendo però troppe lunghe pause tra una scena d’azione e l’altra, cosa che invece Miller assolutamente non fa.
“Poi..qualcosa si agita fuori dalla vista..qualcosa ingoia l’aria viziata..e sibila.. Plana con grazia antica..rifiuta di ritirarsi come i suoi fratelli hanno fatto..i suoi occhi brillano, privi di amore, gioia o dolore..il fiato caldo odora di nemici caduti..del fetore delle cose morte e maledette..è il sopravvissuto più feroce..il guerriero più puro..risplende del suo odio..e vuole farmi suo.”
Il ritmo della lettura è veloce, ogni vignetta ha un massimo di sei o sette parole, i disegni rivelano solo nel finale il volto terribile della creatura che si posa sul giovane indifeso, che compare pian piano dall’ombra e dall’oscurità della caverna. La tensione narrativa è al massimo e l’interruzione nella visione di quella scena (è un flashback) sembra riportare lo scorrere del tempo alla normalità. Il linguaggio ha una fascinazione assolutamente accattivante e porta la scena ad essere vissuta dal lettore esattamente come per il giovane Wayne: come una visione mistica, epica, profondamente significativa.
Che queste tecniche siano impossibili da rappresentarsi sul grande schermo, a meno che non ci si voglia ritrovare davanti ad un film in costante slow motion, è cosa ovvia. Il film comunque attua questa rincorsa all’epicità con i mezzi comunicativi congeniali al cinema: ovvero con una trama significativa (si è già detto che Gotham assurge ad eponimo dell’intera civiltà americana, di cui Batman ne incarna il simbolo dell’ordine a dispetto dei suoi nemici che rappresentano invece le forze del caos e dell’anarchia), una colonna sonora titanica e calibrata nei punti giusti, la spettacolarità delle scene d’azione. Eppure
Nolan quindi fallisce la sua terza trasposizione di “concept” fumettistici per il suo cavaliere oscuro (il primo film riprende infatti le tematiche di Batman: year one sempre di Miller, mentre il secondo quelle di The killing joke di Alan Moore), concludendo la sua trilogia con un capitolo sicuramente non all’altezza dei precedenti.