Viviamo un momento storico caratterizzato da un’enorme potenza tecnologica e da un’estrema miseria umana. La potenza della tecnologia si autoevidenzia in modo penoso nel numero di megawatt delle centrali elettriche e nei megatoni delle bombe nucleari. La miseria dell’uomo si evidenzia nel pauroso numero di persone che già esistono e che presto nasceranno, nel deterioramento del loro habitat, la terra, e nella tragica epidemia, su scala planetario, della fame e della povertà. La frattura tra il potere brutale e l’indigenza umana continua ad allargarsi, dal momento che il potere si ingrassa su quella stessa tecnologia sbagliata che acuisce l’indigenza. La crisi ambientale è il segno sinistro di un inganno insidioso che sta nascosto nella tanto decantata produttività e nella ricchezza della moderna società basata sulla tecnologia. Questa ricchezza è stata guadagnata con uno sfruttamento rapido a breve termine, del sistema ambientale, ma ha contratto ciecamente un debito sempre più grande con la natura, sotto forma di distruzione ambientale nei paesi sviluppati e di pressione demografica in quelli in via di sviluppo; un debito così vasto e così diffuso che entro la prossima generazione potrà, se non pagato, cancellare la maggior parte della ricchezza che ci ha procurato. In effetti i registri contabili della società moderna sono in drastico passivo, tanto che, per lo più inavvertitamente, una grossa frode è stata perpetrata a danno della popolazione mondiale. La situazione di rapido peggioramento dell’inquinamento ambientale ci ammonisce che la bolla sta per scoppiare, che la richiesta di pagamento del debito globale può sorprendere il mondo in bancarotta. Per risolvere la crisi ambientale, dovremmo rinunciare, come minimo, al lusso di tollerare la povertà, la discriminazione razziale e la guerra. Nella nostra marcia involontaria verso il suicidio ecologico abbiamo completamente perso le nostre facoltà di scelta. Ora che è stato presentato il conto, le nostre scelte si sono ridotte a due: o l’organizzazione razionale, su basi sociali, dell’uso e della distribuzione delle risorse della terra o un nuovo genere di barbarie. Una delle reazioni più frequenti all’esposizione dei mali ambientali del mondo è un profondo pessimismo, probabilmente la conseguenza naturale della scioccante presa di coscienza che il tanto vantato “progresso” della moderna civiltà è solo una sottile copertura della catastrofe globale. Io sono invece convinto che, una volta superata la pura consapevolezza del disastro imminente e realizzato il perchè siamo arrivati alla situazione attuale, e quali strade alternative possano portarcene fuori, c’è motivo di individuare nello stesso abisso della crisi ambientale una fonte di ottimismo. Un altro motivo di ottimismo lo vedo nella natura stessa della crisi dell’ambiente. La quale non è il prodotto delle capacità “biologiche” dell’uomo, che non potrebbe modificarsi in tempo per darci la salvezza, ma anche delle sue azioni sociali soggette a un cambiamento molto più rapido. Dal momento che la crisi ambientale è il risultato di una cattiva pianificazione e conduzione sociale delle risorse mondiali, il problema può essere risolto e l’uomo può sopravvivere in una condizione umana se la sua organizzazione sociale viene portata in armonia con l’ecosfera. Possiamo qui ricavare una lezione fondamentale dalla natura: niente può sopravvivere sul pianeta se non diventa parte cooperativa di un tutto più vasto e globale. La vita stessa ha imparato questa lezione alle origini della terra. Non dimentichiamo infatti che i primi esseri viventi, come l’uomo moderno, consumavano la loro base nutritiva man mano che crescevano, trasformando la riserva geochimica di materia organica in rifiuti che non potevano servire ai loro bisogni. La vita, così come apparve per la prima volta sulla terra, si era avviata per un cammino lineare autodistruttivo. La salvò dall’estinzione l’invenzione, nell’arco evolutivo, di una nuova forma di vita che riconvertiva i rifiuti degli organismi primitivi in materia organica fresca. I primi organismi fotosintetici trasformarono l’avido evolversi lineare della vita nel primo, grande ciclo ecologico terrestre. Chiudendo il cerchio essi ottennero quello che nessun organismo vivente, da solo, può realizzare: la sopravvivenza. Gli esseri umani hanno spezzato il cerchio della vita, spinti non da necessità biologiche ma da un’organizzazione sociale che hanno progettato per “conquistare” la natura: strumento per acquisire ricchezze governato da esigenze in conflitto con quelle che regolano la natura. Il risultato ultimo è la crisi ambientale, una crisi di sopravvivenza. Una volta ancora, per sopravvivere, dobbiamo chiudere il cerchio. Dobbiamo imparare a restituire alla natura la ricchezza che le chiediamo in prestito. Questo è però un compito che spetta alla storia stessa, poiché un cambiamento sociale rivoluzionario può essere forgiato soltanto nell’officina dell’azione sociale collettiva, razionale, informata. Che si debba agire è ora chiaro; “come”, è il problema da risolvere.
INDOVINA L’ INDOVINELLO:
DI CHI E DI CHI E’
QUESTO SCRITTO?
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ITALIA
Ulivi e pioppi d’argento
e frumento
nel sole
il mare abbaglia,
alto il monte s’erge
e rude verso l’azzurro,
marmorea cima
di marmi un carro scende
bianco abbagliante passa
tra gli ulivi e i pioppi d’argento
e il frumento, nel sole.
-Sibilla Alemanno-
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BARZELLETTA
Tra due ricercatori: Qual’ è stata l’ultima casa che hai scoperto? Il mio conto in banca!