Detto questo, bisogna essere dei pasdaran pentastellati o dei travagliati giustizialisti per leggere, nelle parole di Napolitano, una disponibilità a concedere la grazia a Berlusconi. Se è vero che, in nome della stabilità politica, il Presidente ha mostrato attenzione e comprensione nei confronti dei problemi dell’ex (?) cavaliere, è altrettanto vero che le parole di Napolitano inchiodano il leader del Pdl a un percorso strettamente inserito nell’ambito costituzionale che prevede, innanzitutto, la richiesta formale della grazia, il che implicitamente è un riconoscimento della validità della condanna e un’ammissione del proprio stato di reo. In secondo luogo, l’affermazione che un’eventuale grazia commuterebbe la pena detentiva in pecuniaria, lasciando inalterate le pene accessorie (decadimento da senatore e incandidabilità in eventuali nuove elezioni), non scioglierebbe affatto il nodo centrale della questione: l’agibilità politica di Berlusconi.
Ora, detto che comunque una parziale grazia in assenza di motivi umanitari rappresenterebbe una forzatura politica delle prerogative del Capo dello Stato, sostenere che Napolitano abbia l’intenzione di salvare Berlusconi è degno dei travagliati giustizialisti che vorrebbero che la legge fosse usata come una clava e dei pasdaran pentastellati che si fanno paladini della Costituzione dopo averne letto frettolosamente la riduzione in Bignami. L’atteggiamento ossessivo di certa stampa e di certa nuova politica sulla questione della grazia a un uomo di quasi 77 anni, che proprio per l’età avanzata non sconterà la pena in carcere, dimostra quanta morbosità ci sia nel dibattito politico italiano. Il vero problema non è assicurarsi se Berlusconi si renderà socialmente utile, verrà rinchiuso ai domiciliari o gli verrà commutata la pena in una multa; il vero problema è assicurarsi che le sue vicende personali non siano più in grado di condizionare la politica italiana.