Finisco l’anno con un intrippante romanzo.
Tutto merito dei due personaggi, sebbene nessuno dei due possa chiamarsi eroe.
Tarwater è un ragazzo allevato da un vecchio fanatico mezzo eremita che lo ha cresciuto con due scopi: seppellirlo quando sarà il momento, e battezzare Bishop, il figlio ritardato del nipote.
Questo nipote, Rayber, è un maestro che ha faticato non poco a liberarsi dalle influenze fanatiche del vecchio, essendoci vissuto insieme solo quattro giorni in seguito ad un rapido rapimento.
Da un lato c’è Tarwater, il ragazzo scorbutico che non ha mai visto un telefono e che fatica ad ammettere a se stesso che è stato soggiogato dalle profezie e dal fanatismo; dall’altro c’è Rayber, ossessionato dall’idea di salvare Tarwater dal fantasma del vecchio e che, pur non abbandonandosi mai a gesti amorevoli, impara a voler bene al ragazzo. Bene che, nel complesso del romanzo, non servirà ovviamente a niente.
Due solitudini diverse: una inconsapevole e una consapevole.
Ma, forse, due forme di fanatismo molto simili: da un lato la bramosia di essere un profeta di Dio, dall’altro il rifiuto estremo di ogni metafisica.
Tra i due, preferisco Rayber, ma non perché sia meno disgraziato di Tarwater. Solo perché a livello umano ha saputo riconoscere in sé un amore assolutamente inutile e gigantesco per il figlio malato, e perché deve lottare contro ogni sguardo e ogni frase del mondo per non scoppiare e spaccare tutto.
In questo libro non si salva nessuno.
Ma la Flannery non era, come dice la copertina, “di profonda fede cattolica”?
Un pelino di speranza non ci stava male… per finire il 2013!