Il professore era sul palco il giorno della vittoria di Pisapia. Come tutti gli ospiti, in rapida carrellata, ha detto due battute, di compiacimento e di gioia per la vittoria di Giuliano. Ma la cosa che mi ha colpito più di tutto è stata la sua enorme pancia, rotonda, gigantesca, soda (credo) come una palla di pallacanestro. L'unica cosa più grande della sua pancia è la sua immensa cultura. Ecco cosa emerge da questo libro. Una cultura sconfinata, approfondita, una conoscenza al limite delle capacità umane, una sconfinata e appassionata sapienza.
Ma anche con questo ineluttabile vantaggio nei confronti di chiunque, questo libro è di una noia e di una monotonia che il lettore, anche il più impegnato, il più appassionato seguace dell'autore, ne esce sfinito, ammorbato, stufo marcio.
Il fatto è che anche con i suoi risvolti fantastici, con il suo approccio onirico, il romanzo si perde in continuazione, si sfilaccia.
Forse sono io che invecchio e che non brillo più di capacità di percezione, di lettura curiosa; forse sono io che voglio qualche rassicurazione in più e un po' più di relax; forse sono io che sto avvizzendo; ma leggere questo libro è stata una vera sfida contro me stesso e, soprattutto, contro l'autore, che sembra a ogni pagina, voler mettere in difficoltà il suo interlocutore davanti alla pagina, cercando di non fargli capire nulla, tentando in tutti i modi di scollarselo di dosso.
Lungo, noioso, sconclusionato.
Eco non si tocca, mai, ma intanto qui, dove nessuno legge, posso dire che questo libro non funziona, e che è solo una felicità voltare l'ultima pagina. Una vera liberazione.