Se non sbaglio fu nel 1911 che, in piazza Garibaldi, la grande sala per gli ospiti della città, già circondata dalle quinte uniformi che una saggia amministrazione aveva obbligato con un disegno urbanistico lungimirante, giunse, atteso come uno dei massimi eventi possibili, il famoso Circo di Buffalo Bill, direttamente dalle lontane Americhe, terre di favola e di esotismo. Lei aveva poco più di 20 anni e la Belle epoque era nel suo massimo splendore, un periodo ricco di grande spensieratezza che non poteva di certo far presagire gli orrori in agguato che il secolo ancora bambino stava per generare. Me lo raccontava con occhi sognanti, per una volta dismesso il borbottio corrucciato e mi sapeva far apparire quella grande tenda colorata che andava mostrando una serie di meraviglie arrivata da mondi lontani e sconosciuti.
Gli indiani con i grandi copricapi piumati che a rotta di collo invadevano la pista sui cavalli selvaggi, l'inseguimento alla diligenza, gli spari delle carabine e i personaggi di quell'universo di fiaba che forse aveva generato desideri incoffessati, deliqui e trasporti proibiti al vedere quei baffi a manubrio, quelle cavalcate impetuose, quegli uomini dai profili scolpiti giunti dalle praterie sconfiinate popolate di bisonti e di pericoli. E soprattutto lui, l'eroe dai lunghi capelli che arrivava al galoppo su un grande cavallo bianco, con la giacca gialla sfrangiata, che girava per la pista salutando col grande cappello a raccogliere gli applausi e le grida estatiche degli spettatori entusiasti. Buffalo Bill dal cuore gentil lasciò il segno anche qui, certo non era come quei burattini che mostravano dentro quel piccolo mobile nuovo che da poco era comparso al bar. Non credette mai che gli omarini che si vedevano un po' tremolanti nel bianco e nero delle prime trasmissioni televisive, fossere uomini reali in carne ed ossa. Buffalo Bill, quello sì che era un uomo vero.
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