Il circolo vizioso

Creato il 13 settembre 2013 da Propostalavoro @propostalavoro

"Un giorno il lavoro come lo conosciamo oggi non esisterà più", scrive nel suo articolo il nostro buon Simone. Purtroppo, quel giorno non è in un futuro prossimo venturo, ma oggi. Ad agosto, infatti, l'Istat ha diramato numeri agghiaccianti: i contratti a tempo indeterminato sono scesi al 53,6% del totale (erano il 57% nel 2005), certificando che circa la metà della forza lavoro italiana è precaria, con la prospettiva che presto diventi la maggioranza (qualcuno sostiene, non a torto, che il sorpasso c'è, anzi, già stato) e che saranno i contratti a tempo indeterminato a diventare contratti atipici.

E' terribile ammetterlo, ma siamo caduti in un circolo vizioso perverso: più si crea precarietà, più aumenta la recessione economica (meno consumi, meno occupazione, meno welfare), per contrastare la quale i Governi, che si sono succeduti negli ultimi anni, non hanno fatto altro che introdurre riforme del lavoro che, a loro volta, non facevano che aumentare la precarietà. Solo una coraggiosa scossa, in controtendenza con il passato, ci permetterebbe di ritornare a crescere e invece, la politica si perde in mille idiozie, che nulla hanno a che fare con il bene del Paese, proprio mentre le prospettive per l'occupazione si fanno sempre più nere.

Le cose da fare sono veramente tante, ma nono si può non cominciare da una nuova e più seria riforma del lavoro che, prima di tutto, parta dalla riduzione, a poche fattispecie, della gran varietà di contratti. Quanti ne esistano esattamente è difficile capirlo: basti pensare che, nel rapporto annuale del 2004, all'indomani dell'introduzione della Legge Biagi, l'Istat individuò 21 diverse categorie di contratti di lavoro (tempo indeterminato, determinato, a progetto, ecc.), che diventavano, addirittura, 48 se si contavano anche le sottocategorie (full time, part time, notturno, con turni, ecc.).

E ovviamente, questa lista non ha fatto che crescere, col tempo, con nuove tipologie (l'apprendistato introdotto dalla Fornero, per dirne una), che non hanno fatto altro che rendere più instabile, più precario, il sistema, con la conseguenza che metà della forza lavoro italiana non ha nè i mezzi nè la prospettiva per far riprendere la domanda interna, crollata a livelli preoccupanti.

Naturalmente, solo questo non basterà: occorrerà, ad esempio, una seria politica industriale, sia nei vecchi settori (metalmeccanica, servizi, ecc.) che nei nuovi (internet, green economy, ecc.), forti tagli alle tasse su lavoro e impresa e investimenti a tutto campo, ma questa follia del precariato, troppo spesso spacciato per flessibilità indispensabile nella moderna globalizzazione, è da cancellare: solo con una classe lavorativa forte e dinamica, possiamo sperare di agganciare la ripresa, quella "luce alla fine del tunnel" di cui tanti parlano, ma che non riusciamo ancora a raggiungere.

Danilo


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