“Il clan dei miserabili”: l’ultimo romanzo noir di Umberto lenzi

Creato il 10 aprile 2014 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

Il clan dei miserabili, ultima opera letteraria di Umberto Lenzi, edita dalle edizioni  Cordero, lo abbiamo letto tutto di un fiato. Proprio di corsa, tanto avvince la sua trama avvolta nella sua folta tela che sembra addirittura magnetica. Certamente tutto questo può capitare, pensiamo, perché Lenzi continua a restare, fondamentalmente, dentro l’essenza del suo cinema formidabile. Lenzi, lo dice anche lui, resta sempre un regista cinematografico, ma ormai prestato alla scrittura. Lenzi è un regista cinematografico che scrive libri esattamente dal 2009, anche se certamente oggi non gli mancherebbe neppure la proverbiale grinta per ritornare sul set a dirigere altri film sublimi, esemplari, secondo il suo stile, di una anarchia e, se vogliamo, di una cattiveria pungente (simile a quella mostrata da Mario Monicelli nella commedia) e sempre inserito nel contesto della realtà più cruda e più nuda.  Gli studi giovanili ed appassionati di Lenzi per la storia contemporanea ne hanno sempre caratterizzato le sue espressioni e le sue esperienze. La sua narrativa, anche se recintata nell’ordine del noir, resta dunque una costola perfetta del suo cinema, solo trasferita nei canoni espressivi della letteratura. Ed è un bel risultato, eclatante persino, questa mescolanza, questo voler far coincidere, in fondo, i limiti delle due arti. Intanto i libri di Umberto Lenzi, Delitti a Cinecittà, Terrore ad Harlem, Morte al Cinevillaggio, Scalera di sangue (Coniglio Editore), Spiaggia a mano armata  (Rizzoli)  ed Il clan dei miserabili (Edizioni Cordero) hanno in comune l’identico protagonista, il detective Bruno Astolfi, sempre chiamato ad indagare soprattutto nel suggestivo ed ammaliante mondo del cinema. Lo conosciamo presto il personaggio di Astolfi, come è giusto che sia, proprio nella sua anarchia di animo e nelle sue virtù: beve solitamente solo Fernet, fuma molto, si direbbe esattamente come un turco, e solo le sue Camel, tranne in una circostanza de Il Clan dei miserabili, quando, rimasto senza il suo tabacco si deve accontentare delle sigarette del regista Riccardo Freda, che gentilmente gliele offre, esattamente le Senior Service, un tabacco inglese che Astolfi invece odia letteralmente perché, a ragion sua, dice che “sono eccessivamente dolci”. Ancora sulle sue note, una relazione con la cognata, nel senso buono cioè, lei è vedova di suo fratello morto, per le ragioni assurde della guerra, combattendo in Spagna. Ma oggi, proprio nel contesto iniziale de Il Clan dei miserabili, è giunto il grande momento: anche se svogliatamente e non sappiamo quanto decisamente, ma Bruno Astolfi sta per sposare la sua amata Elena. Ci riuscirà, noi pensiamo sempre suo malgrado, ma al momento della partenza per il sospirato viaggio di nozze per Parigi,  ecco che ai binari del treno lo rintraccia, quasi terrorizzato, l’attore Luigi Pavese. Hanno ucciso un uomo sul set del film che Riccardo Freda sta girando, cioè  I miserabili, tratto dal celebre romanzo di Victor Hugo. Il set è allestito proprio all’interno del glorioso Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma.  E’ l’alba, così, di un nuovo caso per l’abile investigatore Bruno Astolfi.  Ed addio perciò al viaggio di nozze, almeno per ora…

Umberto Lenzi ha compiuto, sulla scia dei suoi sei romanzi, una operazione, chirurgica finanche, che forse in pochi hanno, in fondo, sottolineato: riguardare con gli occhi di oggi ai capolavori cinematografici italiani degli anni quaranta. Non è cosa di cui fare finta di niente quando, poi, questa personale rivisitazione viene sposata al classico del genere letterario, il noir.  Ora, chi scrive, confessa una personale passione per Umberto Lenzi. Da anni. Prima necessariamente attraverso il suo cinema, ora sta continuando integerrima attraverso i suoi romanzi. La bellezza di questi romanzi, di tutti, esattamente da Delitti a Cinecittà  il primo, a quest’ultimo, Il Clan dei miserabili, è che già nelle trame possenti, e nella storia delle loro successioni, non si avvertono banalità. C’è invece, la si nota tutta questa, e fortunatamente, la grande affinità ed anche la grande voglia di scrivere di Lenzi. Tutti noi ritroviamo felici, soprattutto tra le pagine di questo ultimo romanzo, una splendida Roma che sicuramente non esiste più. E non esistono i computers, certamente nel romanzo, il dna è ancora lì da conoscersi, quasi non ci sono nemmeno i telefoni. E Lenzi, tra le righe, oltre il noir beninteso, sembra voglia decisamente narrarci il fascino ritrovato di una forma di austerità, un’ ombra di metafora anche, in cui l’autore sembra rinnegare, fortemente noi pensiamo, anzi ideologicamente, anche il frenetico mondo del consumismo più abbietto che, nonostante la sua profonda crisi economica, oggi sembra attanagliarci sempre più, un po’ tutti.

La serie ideata da Umberto Lenzi dura ormai da sei anni, noi vogliamo che il filo continui ancora, insomma che le gesta di Bruno Astolfi non si esaurissero qua. Ma noi, in questo senso, restiamo super fiduciosi, anche convinti se è per questo, e proprio dallo splendido finale de Il Clan dei miserabili, quando è proprio Aldo Fabrizi in persona che corre a suggerircelo. Lo scopriamo nella situazione in cui Bruno Astolfi, “finalmente” alla stazione Termini, dove, con la “adorata” moglie Elena sta finalmente tentando di partire per il tanto sospirato(da Elena) viaggio a Parigi, sente la voce del mitico Fabrizi a gridargli:  ”…un macello è successo…”  e, guarda il caso, questo macello è successo proprio sul set di lavorazione del film Il delitto di Giovanni Episcopo diretto da Alberto Lattuada. Anzi Aldo Fabrizi si esprime precisamente cosi:  “annamo Astolfi, sbrigate, er fattaccio c’è stato due ore fa, ce vò uno come te, gajardo, per beccare quer  fijo de na mignotta…” E vai. Proprio alla prossima, grande Umberto.

Giovanni Berardi 


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