Attraverso trovate visive che tendono a lasciare soli e senza scampo i personaggi – si pensi ad esempio dell’assenza di classici controcampi a favore di inquadrature frontali – Pablo Larrain costringe i propri caratteri al confronto diretto con la pena da cui volevano fuggire senza lasciargli scampo. Antonio Romagnoli
Il Club
di Pablo Larrain
con Roberto Farías,
Antonia Zegers, Alfredo Castro, Alejandro Goic, Alejandro Sieveking
Cile, 2015
durata, 98’
È ormai palese ai più come l’istituzione Chiesa non solo sia
inefficace nel rimuovere le presunte mele
marce dalle proprie gerarchie ma di come queste vengano protette da una
estesa rete organizzata ed iper-omertosa. Se dunque con “Il caso spootlight” la
ricostruzione degli episodi di cronaca faceva evincere il fatto che parlare di casi isolati – si sta parlando,
ovviamente, della piaga dei preti pedofili – fosse uno sminuire pericolosamente
il problema, ne “El Club” l’argomento viene trattato in maniera totalmente
diversa nonostante il regista non sia dimentico di ciò di cui parlavamo poche
righe fa.
In una casa, in Cile, vivono in ritiro quattro preti
sconsacrati accuditi da una suora; all’arrivo
di padre Lazcano seguirà quello di un uomo, Sandokan, che da fanciullo era
stato vittima proprio del neo-arrivato. La rappresentazione della vita segreta/isolata
ma protetta dagli ordini superiori, quindi, da un lato richiama appunto all’omertà
del mondo ecclesiastico che procede in maniera diametralmente inversa a ciò che
sarebbe invece ragionevole fare, dall’altro – ed è questa la vera forza del
film – permette al regista di rappresentare i peccatori come una sorta di setta composta da uomini
incessantemente lussuriosi e quindi quanto mai lungi dal pentimento come
postulato fondamentale dell’uomo di fede nella visione cattolica. Non trovando
spazio all’interno dei personaggi, dunque, la colpa si trasfigura nel personaggio di Sandokan, presenza reale ma
che i protagonisti – e parallelamente chi guarda – avvertono come fosse un
fantasma pronto a far riemergere ciò che la ragione ha taciuto.
Attraverso trovate visive che tendono a lasciare soli e senza scampo i personaggi – si pensi ad esempio dell’assenza di classici controcampi a favore di inquadrature frontali – Pablo Larrain costringe i propri caratteri al confronto diretto con la pena da cui volevano fuggire senza lasciargli scampo. Antonio Romagnoli
Attraverso trovate visive che tendono a lasciare soli e senza scampo i personaggi – si pensi ad esempio dell’assenza di classici controcampi a favore di inquadrature frontali – Pablo Larrain costringe i propri caratteri al confronto diretto con la pena da cui volevano fuggire senza lasciargli scampo. Antonio Romagnoli
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