Il Cognitivismo. 1 parte

Da Psychomer
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Matteo Radavelli
ottobre 14, 2010Posted in: psicologia

La psicologia cognitiva nasce verso la fine degli anni cinquanta in parziale contrapposizione al comportamentismo. Quest’ultimo aveva gettato le basi per una psicologia fondata empiricamente. Il cognitivismo accetta il rigore metodologico del comportamentismo, entrambe le discipline, infatti, si basano su una scientificità di tipo naturalistico, nel comune intento di assimilare lo studio della mente umana alle scienze fisiche.

La seconda metà degli anni cinquanta vide non solo il fiorire di nuove impostazioni teoriche e procedure sperimentali, ma anche la diffusione di una prospettiva differente da quella comportamentista dominante negli Stati Uniti: la prospettiva della psicologia cognitiva o del cognitivismo. Vi confluirono i contributi di discipline diverse: oltre alla psicologia sperimentale di impronta neocomportamentista, la linguistica, la teoria dell’informazione e la cibernetica, le neuroscienze e la filosofia della mente. Si considera abitualmente come “data di nascita” del movimento cognitivista il Convegno di Boulder (Colorado) del 1955, anche se alcuni fanno retrocedere questa data al lavoro di Claude Shannon sulla teoria dell’informazione del 1948.

Oltre all’impostazione interdisciplinare, la psicologia cognitiva aveva altri suoi aspetti caratteristici. In primo luogo, si interessava dei processi cognitivi (la percezione, l’attenzione, la memoria, il linguaggio, il pensiero, la creatività), che erano stati trascurati dai comportamentisti o considerati come dei prodotti dell’apprendimento. Per utilizzare la definizione data da Neisser: il termine “cognitivo” indica tutti quei processi che comportano trasformazioni, elaborazioni, riduzioni, immagazzinamenti, recuperi e altri impieghi dell’input sensoriale. L’oggetto d’indagine è definito pertanto in termini  di attività e di processi piuttosto che in termini d’oggettualità.  A questi processi veniva riconosciuta sia un’autonomia strutturale sia una interrelazione e interdipendenza reciproche. Un’altra importante caratteristica della psicologia cognitiva è che la mente è concepita come un elaboratore di informazione, avente un’organizzazione prefissata di tipo sequenziale e una capacità limitata di elaborazione lungo i propri canali di trasmissione. L’analogia tra mente e calcolatore era basata sulle nozioni di informazione, canale, sequenza di trasmissione ed elaborazione dell’informazione, strutture di entrata (input) e uscita (output) dell’informazione dell’elaboratore, strutture di memoria. Per spiegare tale organizzazione strutturale e funzionale si diffuse l’uso di diagrammi di flusso, formati da unità (scatole) e aventi ciascuna compiti definiti (percezione, attenzione, ecc.) e da vie di comunicazione.

La spiegazione del cognitivismo tramite i modelli cognitivi:

l’uso di modelli consente una simulazione del funzionamento del sistema cognitivo semplificata e con validità euristica puramente funzionale, in cui la teoria non pretende di rispecchiare il reale stato dei fatti naturali, ma di rappresentarlo. La metafora del computer si offre, in questo periodo storico, come la più opportuna per rispondere alle esigenze metodologiche del nuoco paradigma.

L’uomo come servo-meccanismo

Si attribuisce la nascita della psicologia cognitivista alla pubblicazione avvenuta nel 1934 del libro di Kenneth Craik (1914-1945) “The nature of explanation”. Partendo dall‟empirismo inglese, inizia la psicologia cognitivista, che considera l‟uomo come un sistema di elaborazione delle informazioni relative ai controlli automatici che ne governano l‟azione. Craik da inizio al filone di ricerca legato al paradigma HIP (Human Informaton Processing). Per Craik i processi di pensiero vanno considerati come processi di manipolazione di simboli con tre fondamentali caratteristiche 1. traducono in simboli i processi esterni all‟organismo, costruendo così una rappresentazione esterna 2. con la capacità di derivare da simboli primitivi altri simboli relativamente svincolati dalla realtà esterna 3. traducendo nuovamente l‟apparato simbolico in azioni e procedure di controllo sugli accadimenti della realtà esterna. L‟esperimento fondamentale fu il cosiddetto compito di tracciamento. Craik dimostra che l‟uomo non riesce ad elaborare e ad agire su di un dato (luminoso, da puntare con due manopole) se questo esegue un numero di operazioni maggiori di due al secondo. L‟uomo viene così concepito come un servo-meccanismo che si autocorregge con tempi non inferiori al mezzo secondo, come sistema decisionale che funziona ad intermittenza. Questo porta alla logica conseguenza che il presente psichico non esiste: il mio presente è in realtà una visione retrospettiva del mondo, vissuto in continuità. La mente ha limiti strutturali nell‟elaborazione del mondo.

La capacità limitata del sistema

George Armitage Miller fu noto per la sua adesione allo studio della memoria come elaborazione dell‟informazione. Nel 1956 pubblica il fondamentale articolo “Il magico numero sette, più o meno due” dove dimostra che la mente riesce ad elaborare un numero limitato di dati di diversa provenienza, concependo la mente come un canale di comunicazione limitato (e tanto). Queste sette unità di informazione (chunks) possono essere elaborate dalla mente indipendentemente dalla loro complessità interna.

continua…

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About the Author

Matteo: ciao, sono laureato in Psicologia Clinica e Neuropsicologia. Attualmente vivo e lavoro a Milano. Puoi vedere il mio profilo completo nella pagina "chi siamo" o contattarmi personalmente: Email: matteo.radavelli@yahoo.it Sito personale: www.psicologomonzaebrianza.it

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