Il comandamento (dimenticato) di Benigni

Creato il 20 dicembre 2014 da Appuntiitaliani
Pubblicato il dicembre 20, 2014 da: Sagittarius

L’intellighenzia italiana assieme alle gerarchie vaticane si spella le mani per la rappresentazione dei “Dieci comandamenti” di Roberto Benigni, peccato che gli sfugga lo squallore e la reale statura del personaggio.

“Se nasce un mongoloide è una cosa molto trista, ma la cosa più schifosa è se nasce un fascista” così comincia la squallida poesia recitata dal comico toscano recitata nel film “Effetti personali” di Giuseppe Bertolucci del 1983. A stanare la raccapricciante rappresentazione di Benigni è stato Pietrangelo Buttafuoco intervistato ieri da Libero.

A parte l’insulto rivolto con la discutibile rima alle persone nate con la sindrome di down e ai loro familiari, si dovrebbero ricordare a Benigni quei ragazzi ammazzati per la sola colpa di essere fascisti. Dall’immediato dopoguerra ai più recenti anni di piombo il motto “uccidere un camerata non è reato” ha garantito la massima impunità a quanti si sono macchiati di omicidi verso quei morti, a volte ragazzi giovanissimi, considerati di “serie B”.

Ma al Benigni di inizio anni ’80 queste cose non interessavano. Anzi, per assicurarsi la carriera di grande attore si prestava a una poesia che come unico scopo aveva quello di fomentare l’odio tra opposti estremismi. O meglio, l’odio fomentato è stato sempre e solo verso un unico estremismo, quello di destra.

“Maledetta l’ora e il giorno in cui due merdaioli ti misero al mondo; maledetta l’ora, il giorno e l’annata che la tua mamma ti dette la prima poppata”, Benigni recitava queste parole nauseanti nello stesso anno in cui ha perso la vita Paolo Di Nella, a Roma nel quartiere Trieste-Salario, all’età di 20 anni, aggredito vigliaccamente da alcuni militanti antifascisti nel corso di un’affissione. Quella di Di Nella è stata considerata la morte che ha concluso la triste stagione degli anni di piombo, ma forse Benigni si augurava che potesse continuare.

“Poi arrivasse Terracini, Paietta, Longo, Ingrao, ti cacassero sugli occhi mentre cantan ‘Bella Ciao’” ecco cosa recitava chi qualche sera fa si è permesso di interpretare i “Dieci comandamenti”, norme e prescrizioni, secondo lo stesso Benigni, che diffondono amore verso il prossimo.

A quanto pare il Benigni redento è piaciuto molto anche al Vaticano. Monsignor Fisichella su vari quotidiani nazionali ha elogiato il provocatore antifascista, ora convertito al calore e alla dolcezza: “Una lezione per la Chiesa”, l’ha definita.

Anche Monsignor Paglia ha raccontato la sua conversazione telefonica, ricca di complimenti, con il comico toscano. Qualcuno sussurra anche lo stesso Papa Francesco lo abbia chiamato, ovviamente per porgergli i suoi convenevoli.

Tra le principali celebrazioni arrivate, c’è quella de Il Giornale il cui payoff in prima pagina recita “Da 40 anni contro il coro”. All’anima! Più coro di questo in favore di Benigni in questo momento in Italia proprio non ce n’è.

Ma come mai questa conversione del “Piccolo diavolo” in angelo celeste e messaggero del verbo divino?

La risposta la suggerisce sempre Buttafuoco su Libero: «Confermo quello che disse Ionesco quando aprì la porta del suo appartamento di Parigi e vide la folla sgargiante e urlante dei sessantottini: “Diventerete tutti notai”. È quel che è successo a Benigni».

Dal “Piccolo diavolo” a “La vita è bella”, anzi… la vita è bellissima: con 4 milioni di euro (a spese dei contribuenti) oltre alle conversioni succedono i miracoli.

Fonte: “L’ultima Ribattuta”


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