Credo che questa premessa possa adattarsi perfettamente ad un film come Il commissario, 1962, melange fra commedia e giallo (con più di un’influenza, a mio avviso, derivata dal polar francese), il quale può vantare una valida sceneggiatura scritta dal celebre duo Age & Scarpelli, visualizzata con pregevole accortezza dal regista Luigi Comencini, senza dimenticare l’ottima interpretazione offerta da un Alberto Sordi efficacemente misurato, capace di delineare nei panni del ligio ed irreprensibile vice commissario Dante Lombardozzi una maschera grottesca intrisa in eguale misura di moralità ed ambiguità, altalenante fra senso del dovere e smania di far carriera.
Alberto Sordi
La figura del suddetto funzionario viene introdotta da un suggestivo prologo-apertura sui titoli di testa (reso ancora più incisivo dal bel motivo musicale di Carlo Rustichelli), che già delinea la sopra citata caratterizzazione narrativa, per poi dipanare man mano l’intricato caso in cui si troverà coinvolto, la morte di un prestigioso ed integerrimo politico e pedagogo, tale Simeone Di Pietro, trovato cadavere da alcuni ragazzini lungo una via della periferia romana. E’ la vigilia di Pasqua, in questura non vedono l’ora di chiudere il caso al più presto, senza darvi troppa pubblicità considerando il personaggio deceduto e la sua inclinazione al “bene effimero della bellezza”, come si premurano di suggerire con discrezione le alte sfere.
E così, sulla base di pochi elementi, senza insistere più di tanto nelle indagini, si risalirà ad un poco di buono, Armando Provetti (Alfredo Leggi), il quale confesserà di aver investito accidentalmente con la sua 500 l’esimia personalità, permettendo quindi archiviare il tutto. Ma il solerte vicecommissario, esaminando il fascicolo noterà più di una discrepanza, tanto da riuscire a far riaprire le indagini, che avranno inediti e numerosi risvolti, tutti basati sulla sua felice intuizione iniziale, cherchez la femme. Si vive però in tempi permeati di un “malinteso rigore morale” come esterna il commissario capo (Alessandro Cutolo) e sarà proprio Lombardozzi a doverne pagare il fio…
Fra concreto idealismo e fallace ambizione sarà comunque il primo a farsi strada e conferire opportuno significato ad ogni gesto ed attività.
Sempre esemplare l’attenta regia di Comencini, idonea a valorizzare il buon lavoro di scrittura nell’alternanza fra primi piani e campi/controcampi volti a sottolineare ogni caratterizzazione, anche psicologica, dei vari protagonisti.
Estremamente efficace al riguardo, oltre alla già descritta finezza interpretativa propria dell’Albertone nazionale, più meditata e sfumata, certo meno istrionica e patetica rispetto ad altre interpretazioni, la corale efficacia idonea a visualizzare le gesta di ogni singolo personaggio, ognuno portatore a suo modo di una funzionalità compiacente col potente di turno.
*Come fa notare Guido Vitiello ne In nome della legge. La giustizia nel cinema italiano (Rubbettino Editore, 2013).