Il compagno dell’anima

Creato il 19 maggio 2013 da Timoretremore

I pazzi e i sognatori credono in ciò che è falso, scriveva Platone. “Il sogno è l’infinita ombra del Vero”, esclama Alessandro Magno, nel poemetto che gli dedica Giovanni Pascoli;’ dopo aver marciato con i suoi soldati fino alle sponde dell’Oceano Indiano, riflette sulla coincidenza imperfetta tra sogno e realtà: senza limiti il primo, circoscritta e parziale la seconda. Meglio fermarsi al di qua dalle montagne e toccare, nella profondità del mondo interiore, orizzonti che dal primo valico non si possono scorgere.
Sogno e follia sono percorsi di conoscenza alternativi ai procedimenti consueti della razionalità. E sono forme diverse d’illusione, dal momento che chi è folle, al pari di chi sogna, scavalca i confini della ragione ed esprime modi d’essere fondati sul dissolvimento del senso comune, traducendo il rapporto tra l’io e il mondo in una riscrittura deformata, eccessiva, si direbbe quasi teatrale.
A differenza della follia, però, il teatro del sogno ha un solo spettatore: la persona che sogna. E davvero in questo caso di teatro bisogna parlare in senso proprio, perché le fantasie oniriche drammatizzano attraverso scene e azioni una realtà psichica che non potrebbe emergere in altri modi, ma può rendersi percepibile solo attraverso le sfuggenti trame che si compongono e si disfano da sole davanti ai nostri occhi addormentati.

“Ognuno sogna i sogni che si merita”, scriveva Gesualdo Bufalino. Un sogno è una specie di mimo silenzioso, diceva Tertulliano. “Immagina un gladiatore senza le sue armi o un auriga senza il suo cocchio nell’atto di imitare con i gesti le movenze e le posizioni della loro arte: combattono, gareggiano, ma è un agitarsi a vuoto. Eppure sembra che accadano cose che in realtà non esistono”.
Quello del sogno non è uno spazio vuoto, ma uno spazio aperto in cui possono entrare persone lontane, o assenti. L’esempio più in là nel tempo di questa vertigine dell’esistere e del non esistere è il sogno di Achille nell’Iliade, in cui Patroclo appare vicino, bello e misterioso malgrado sia già morto.
Una versione contemporanea è quella del poeta americano Wendell Berry. In un sogno incontra un suo amico morto. Se n’è andato molto lontano, eppure è sempre lo stesso perché i morti sono immutabili e non invecchiano. E’ lui che è vivo a essere cambiato, non il suo amico morto.
Nella civiltà greca la considerazione riservata ai sogni era altissima. I sogni erano emissari divini, erano illuminazioni notturne molto vicine alla sfera religiosa. Attraverso il rito divinatorio dell’incubazione si guariscono i sofferenti e il dio stesso appare in sogno e indica la terapia, o – più spesso – cura direttamente i mali.
Nei sogni raccontati dagli autori classici la vita e la morte sono due situazioni interscambiabili. Il sogno è il luogo per eccellenza in cui realtà improbabili s’incontrano, comunicano, e talvolta si scambiano di posto.
Omero immagina i morti nell’Ade simili a un sogno. Quando Odisseo incontra la madre Anticlea nel buio regno sotterraneo va verso di lei per abbracciarla, ma per tre volte il fantasma gli svanisce tra le mani volando via “come un ombra o un sogno”. “Ah, figlio mio – gli dice poi dolente la madre – questo è il destino di ogni uomo, quando il fuoco dissolve le ossa sul rogo e la forza vitale vola via; da quel momento l’anima vaga nel mondo delle ombre, simile a un sogno”.

Giulio Guidorizzi, Il compagno dell’anima – I Greci e il sogno, Raffaello Cortina editore, 2013.



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