il compleanno di mio padre

Da Gynepraio @valeria_fiore

La salute, il viaggio, l’amore e la maturità, visti attraverso gli occhi di colui che mi ha dato il cognome. Ma anche i piedi piatti, l’ipermetropia ed un comico decisionismo.

ME NE OCCUPO IO. All’età di 2 anni, caddi giù da non so dove e mi feci male al braccino destro. Dopo due rognosissimi giorni, il genitore decide di porre fine alla situazione. Porgendomi le braccia mi dice “vieni qui da papà!” Con bionda stupidità, afferro le mani di mio padre il quale tira il braccino dolorante. Un secco “trac”, un urlo demoniaco et voilà l’omero è tornato al suo posto. Somma soddisfazione, telefonate di madre al parentado, mio marito è uno sciamano. All’età di 9 anni, scopertami ginnasta e fan sfegatata di Hilary, faccio un’acrobazia in cortile e mi schianto contro una piglia di cemento armato facendomi male al braccio sinistro. Il genitore, memore delle sue doti taumaturgiche, si accinge a compiere la stessa operazione di 7 anni prima ma mia madre istintivamente si mette in mezzo a mo’ di scudo umano urlando: “No, stavolta meglio di no”. E’ un bene, perché poche ore dopo una radiografia rivela una frattura dell’omero sinistro destinata a scomporsi in mille pezzi sotto gli esperimenti osteopatici di mio padre.

RITRATTO CON STAMPELLE. Nell’estate dei miei 15 anni, mio padre decise che avremmo fatto il coast-to-coast: 30 giorni dalla California alla Florida, solo io, mamma e papà. Avevo un bel protestare e strapparmi i biondi capelli: si era già comprato l’opera omnia di Kerouac e non mi stava manco a sentire. Nel luglio di quell’anno rimasi vittima di un grave incidente d’auto fortunatamente risoltosi con danni minori. Certo, se una specie di fontanella sul cranio, un incisivo a ramengo, 4 punti nel labbro e soprattutto 72 ore di trauma cranico durante le quali ripetevo ossessivamente codice fiscale e verbi greci possono considerarsi danni minori. Non contenta, mi ero rotta un ossicino idiota detto acetabolo, imboscato da qualche parte nell’anca e pertanto non ingessabile. Quando -con sommo sollievo del personale paramedico- mi ripresi dal trauma cranico, sorridevo sorniona nonostante il labbro ricucito perché questo significava niente coast-to-coast, vorrai mica girare gli USA con una figlia in sedia a rotelle? Mio padre non colse la domanda retorica e mi porse due stampelle nuove di pacca. Nell’album fotografico annoveriamo: Gynepraio sul Pier39, con stampelle che indicano i leoni marini. Gynepraio sulla Hollywood Walk of Fame, con stampelle appoggiate sulla stella di Mickey Mouse. Gynepraio a Las Vegas che abbassa la leva di una slot machine su cui sono appoggiate le stampelle. Gynepraio nella Death Valley, con stampelle che sprofondano nella sabbia. Gynepraio e le sue stampelle in Ocean Drive, davanti alla villa di Versace assassinato il giorno prima.

ABBI UN MOTIVO VALIDO. Quando finì la storia raccontata in questo post, io piansi tantissimo. Come da manuale, lo vedevo scritto su tutti i muri, ogni canzone mi parlava di lui e riuscivo a trovare ricordi di noi ovunque. Danno “Sapore di Sale 2″ in TV? Giù lacrime in ricordo dei baci in spiaggia. Il fattorino di UPS puzza profuma di Axe Africa? Subito una bella frignata perché anche lui lo usava. Passa in strada una Punto azzurra? Ecco qualche singhiozzo composto, tipo vedova alla messa di Trigesima. Come le coppie, ma soprattutto come i carabinieri, i miei genitori si erano divisi i compiti: mia madre faceva le domande, mio padre assisteva silenziosamente agli interrogatori. Fu durante una cena, in cui piansi disperatamente perché mia madre aveva fatto i Cordon Bleu (ovviamente il di lui piatto preferito), che mio padre si emancipò dal suo ruolo di osservatore e mi mollò un sonoro manrovescio. Per giustificarsi agli occhi attoniti miei e di mia madre, disse “Se devi piangere, che sia per una motivo valido”.

FINCHE’ SEI VIVA, TUTTO BENE. Durante il mio anno negli Stati Uniti, (ci misi 7 anni a riprendermi dal trauma del coast-to-coast) i miei genitori decisero di venire a trovarmi. In un’ora mostrai loro il campus, la residenza e le persone che frequentavo. La sera li portai a cena nell’unico ristorante non-all-you-can-eat della città. Il mattino dopo andammo a vedere il Museo di Andy Warhol di Pittsburgh. All’ora di pranzo si svolse tra me e mio padre la seguente conversazione:

P. Sei in salute? Ti trovi bene in questo posto?
G. Certo papà! Che dici, andiamo a vedere un villaggio di Amish? Sono quelle comunità che viv…
P. Sì, lo so cosa sono gli Amish. Quindi, insomma, non senti la nostra mancanza?
G. No, papà, qui sono tutti molto gentili. A proposito, vi ho presentato il relatore del mio prog…
P. No, ma sono sicuro che è un ottima persona. Insomma, non te la prendi se noi partiamo stasera per Philadelphia?
G. Ma papà, domani volevo portarvi all’allevamento di orsetti lavatori, sono sicura che non ne hai visto m…
P. Ci piacerebbe, ma il fatto è che se stiamo in questo bucodiculo ancora un giorno ci portano alla neuro.
G. Ma io pensavo foste venuti qui per stare con me!
P. E con chi siamo stati finora? Sei viva, sei grande, direi che noi ce ne possiamo anche andare.


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