Jean Siméon Chardin è un pittore francese del Settecento non molto conosciuto in Italia; recentemente l’ho “scoperto” a Ferrara, dove una mostra monografica ne tracciato, per la prima volta nel nostro paese, tutto il percorso formativo, dalle composizioni giovanili alla sua lenta ma sicura ascesa, fino alla vecchiaia ricca ancora di frutti creativi. E l’ho trovato incredibilmente attuale, nella sua essenzialità quasi “metafisica”.
Figlio di un fabbricante di biliardi, Jean Siméon segue solo in minima parte i percorsi tradizionali; appropriatosi della tecnica pittorica all’Accademia reale, entra poi in uno studio come apprendista ma rifiuta da subito i soggetti alla moda, storici e mitologici, per dedicarsi allo studio diretto della realtà attraverso le sue nature morte assolutamente diverse dalle lussureggianti composizioni del Seicento. Al contrario, Chardin mette in scena, sopra una tavola di marmo bruno, bottiglie, bicchieri, frutta, e le ritrae con colori morbidi e discreti ma caldi, in posizioni architettonicamente studiate: oggetti quotidiani di una semplicità estrema, la luce e le sfumature sono tutto.
In seguito, folgorato dalla morbidezza del pelo di un coniglio, donatogli da alcuni amici cacciatori, dipinge tranci di salmone e di carne, lepri, pernici, accostando la cacciagione a stoviglie di peltro e rame rilucente, sempre con inquadrature armoniose e toni neutri ma intrisi di luce.
Non lascerà mai questi soggetti, con varianti semplici o raffinate nell’oggettistica riprodotta, fino alla vecchiaia, ma accanto ad essi, a partire dalla maturità introduce figure umane: commoventi ritratti di bambini, nella spontaneità dei loro atteggiamenti ingenui, figure di popolani e borghesi, osservati in un’ottica che è all’opposto di quella fokloristica o di genere; al contrario, vede la sguattera, il servitore, la signora e la governante come esseri umani di pari dignità, assorti nelle loro occupazioni e nei loro pensieri.
Tutto questo, in un secolo e in uno stato, la Francia, dove impera una cultura sfarzosa e leziosa, a volte folle, ma chiara erede, nei suoi svolazzi, del barocco trascorso.
Non per niente Chardin è stato dichiarato erede di Vermeer e maestro riconosciuto di Morandi e altri moderni, cui spirtualmente si allaccia al di là dei secoli.
La visione di questi quadri, contenuti in piccole o medie misure, produce una sensazione lenta e sottile di appagamento attraverso le forme equilibrate ed i colori tranquilli; dai soggetti umani trapela una sincerità genuina, le nature morte hanno scansioni musicali, con oggetti pesanti di una loro propria esistenza. La pelliccia del coniglio appeso, o accasciato, mantiene per sempre una vibrazione, emanata dall’animale che è stato vivo.
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