“Il contrabbasso” al Teatro Verdi

Creato il 21 febbraio 2014 da Temperamente

Patrick Suskind dice questo nel suo Il contrabbasso: «Se c’è una cosa inconcepibile è un’orchestra senza contrabbasso. Si può quasi dire che l’orchestra – siamo alla definizione – comincia a esistere soltanto quando c’è un contrabbasso. Ci sono orchestre senza primo violino, senza fiati, seza timpani e trombe, senza tutto. Ma non senza contrabbasso.» L’avreste mai detto?

Per la regia di Luca Massiotta, torna al Teatro Verdi di Milano questo adattamento dal romanzo con Marco Pagani nei panni del musicista monologante.

Storia di un amore tormentato, quello tra il protagonista e il suo strumento, invischiato nel classico rapporto odio/amore con esso. Uno strumento ingombrante, pesante, che non si può spostare ma soltanto trascinare, che, se cade, si spacca; uno strumento per cui concerti da solista si contano sulle dita di una mano, perciò deve per forza accompagnare, far parte di un’orchestra. Il contrabbasso è impegnativo, faticoso, richiede un dato fisico per suonarlo, poiché il contrabbasso è uno strumento con il body; un body anche ingombrante, che quando hai ospiti a casa fa convergere l’attenzione su di sé, che se sei con una donna, rovina tutta l’atmosfera, perché sta sempre lì, sornione, a guardarti, a farti sentire ridicolo, e “ridicolo” ed “erotico” non vanno per niente d’accordo…

Una storia di amore tormentato anche quella tra il protagonista e la madre perché, facendo una spicciola analisi psicologica, se il contrabbasso è il più sbracato degli strumenti femminei, con la sua forma, a pera, formosa e invitante, la storia personale del musicista parla chiaro. Come lui stesso rivela dal palco, parlando a cuore aperto, è diventato contrabbassista per fare un dispetto al padre, un burocrate, che odiava la musica e non si curava di lui, e per amore nei confronti della madre, una flautista, debole e succube del padre, che non l’ha mai difeso abbastanza; e perciò, in una sorta di ininterrotto e irrisolto complesso edipico, il protagonista è diventato un artista sia per offendere il padre, ma anche per oltraggiare la madre, scegliendo lo strumento meno aggraziato di tutti, ed ogni giorno è come se la violentasse sul palco, suonando, mentre esegue il suo lavoro di impegato statale, perché assunto nell’orchestra di stato. Una doppia vendetta verso i genitori, al sapore di decadimento morale.

E di tormento amoroso si parla anche nella realtà: questo quarantanovenne musicista si è invaghito perdutamente e senza alcuna speranza del suo antipodo orchestrale, la giovane e fresca soprano Sara. Che a malapena sa chi sia – anzi, probabilmente non sa neanche che lui esiste, coperto com’è dall’orchestra, quasi insignificante all’interno del tutto,  con le sue note così basse e inudibili, così profondamente diverse da quelle che lei emette con la voce. I modi per farsi ascoltare e vedere da lei – bella, giovane, corteggiata da tutti – sono tutti quanti tragici, meritevoli di quel Wagner che il musicista disdegna tanto lungo tutto lo spettacolo. Del resto, fare musica è per il contrabbassista un’azione disperata di sublimazione, di quell’amore che prova e non riesce ad esprimere, così come di quel talento che possiede ma non riesce completamente a sfruttare, incastrato nella posizione di orchestrante statale e per giunta virtuoso di uno strumento tanto scomodo.

Per tutto lo spettacolo Marco Pagani dialoga col pubblico e col contrabbasso, altro vero personaggio sul palco; il rapporto tra i due, oltre che di odio-amore, è fisico, sensuale: lo strumento viene pulito e strofinato, utilizzato per emettere note musicali e per accennare passi di danza, toccato per sottolineare le sue curve; ed è un rapporto metafisico, poiché mezzo di affermazione del proprio io e di lotta contro la morte (del bello) e contro il nichilismo verso cui è portato il disilluso protagonista.

Un testo complesso e che si legge a diversi livelli, con un protagonista a volte sgradevole e borioso, ma non per questo noioso o stancante, che anzi fa sghignazzare più volte.

Al Teatro Verdi a Milano.


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