Il coraggio del dubbio

Creato il 23 marzo 2011 da Animabella
Di pacifisti senza se e senza ma, per i quali la non-violenza è principio assoluto e non negoziabile di fronte a qualunque scenario, ce ne sono davvero pochi in giro. Io non sono fra questi. Io sono per un pacifismo come ideale regolatore, come orizzonte a cui tendere, come principio a cui ispirarsi, senza che diventi benda sugli occhi davanti alla realtà del qui e ora. Tolta la davvero piccola minoranza dei pacifisti assoluti, gli argomenti della stragrande maggioranza dei contrari all’intervento militare in Libia si riducono fondamentalmente a uno: non ci fidiamo. Sono argomenti che si potrebbero sintetizzare così: se solo fossimo completamente sicuri che si tratta di interventi il cui obiettivo reale è la protezione dei civili e la promozione di processi democratici, allora saremmo anche disponibili a mettere in discussione il pacifismo, ma poiché dietro c’è sempre altro (il petrolio, il pericolo islamista, complicati giochi geopolitici...), allora qualunque intervento militare è da condannare.
Che i potenti del mondo non abbiano a cuore i diritti umani, la democrazia, la libertà dei popoli che vivono sotto dittature, più o meno esplicite, è verità nota persino ai bambini. Il problema è valutare se le ragioni del denaro, del petrolio, del potere possano talvolta, per qualche auspicabile eterogenesi dei fini, coincidere con quelle della libertà e della democrazia. Nel caso dell’ultima guerra in Iraq, per esempio, era evidente che il pretesto con cui si è dato inizio alla guerra – la fantomatica presenza di armi di distruzione di massa mai trovate – era, appunto, solo un pretesto per l’occupazione di quel paese e per la cacciata di un dittatore che non faceva più comodo ai potenti del mondo. Nel caso della Libia il «pretesto» per l’attacco è stato un imminente e potenzialmente enorme massacro dei ribelli di Bengasi da parte di Gheddafi. Ovviamente la storia non si fa con i se, ma il primo attacco dei francesi di sabato scorso potrebbe davvero aver bloccato i piani di Gheddafi, costingendolo a rimandare il bagno di sangue nella capitale della rivolta. E che si possa persino pensare che i francesi non attendevano altro che una buona occasione per giustificare un attacco, non cambia il fatto che questa occasione non se la sono creati da soli.
C’erano altri metodi? Molto probabilmente sì, soprattutto se si fosse deciso di intervenire molto prima. Il dubbio che questo tipo di intervento militare – tutto concentrato sui bombardamenti aerei, che spesso non si rivelano così chirurgici come la propaganda di guerra vuole far credere – non sia il tipo di intervento più adatto alla situazione è forte. Come anche la tragica sensazione che le conseguenze di questo intervento potrebbero essere persino opposte a quelle proclamate (e affinché questo non accada sarà necessario un livello di vigilanza altissimo). Esprimere giudizi netti su situazioni così complesse è impresa davvero ardua. Il dubbio è un macigno pesantissimo da portare, le certezze sono leggere come piume e fanno sentire forti. Beati coloro che vivono di certezze.

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