Il coraggio delle donne yemenite: cercano diritti in un paese in cui vige la segregazione femminile

Creato il 16 giugno 2011 da Madyur

“Gli estremisti ci minacciano con la jambia ( il pugnale ricurvo che gli uomini tengono alla vita ndb) ma noi yemenite stiamo in piazza per dimostrare contro il regime corrotto del Presidente Saleh” denuncia Jamila Ali Raja da Sanaa. Già consulente del Ministero degli Esteri , Jamila è in prima linea per addestrare donne spiegando quali sono i loro diritto.

Con 23 milioni di abitanti e un migliaio di dollari di reddito medio pro-capite l’anno, lo Yemen è il più povero fra i paesi Arabi : il 41,8 % della popolazione vive sotto la soglia della povertà ( 2 dollari al giorno) e un terzo soffre la fame cronica. Al potere dal 1978, il Presidente Salh ha promesso più soldi in busta paga, ma non è servito.

Anche le donne hanno i loro motivi per protestare : non hanno autonomia legale e sono minori a vita , sotto la tutela di un uomo che decide per loro ; il tasso di mortalità per parto è il più alto della Penisola Arabica , la violenza domestica non è reato e in Parlamento siedono solo 3 deputate. Sull’onda lunga della primavera araba le donne sono uscite dall’ombra e si è innescato un processo di cambiamento. La situazione nel Paese oggi è completamente diversa.

La media di figli per coppia una volta era di sette pargoli, ora si è scesi a cinque. L’economia non regge la crescita demografica , nello Yemen far tanti figli è segno di virilità. IL paese , a differenza dei suoi paesi confinanti, è povero di petrolio e anche di acqua, assorbita dalle coltivazione di qat ( un alcaloide che viene masticato e dà dipendenza ndb) che prosciuga anche le finanze familiari.

La poligamia è praticata da quelli che hanno viaggiato all’estero, promettersi a più di una sposa è un lusso per pochi. Esiste , purtroppo la segregazione femminile. Molte volte la donna viene lasciata in cucina con la servitù, quando sono presenti degli ospiti e non devono mai incrociare lo sguardo di un altro uomo. E sarà difficile per queste donne essere in piazza a manifestare. Nel paese delle spose bambine solo il 31% delle donne viene iscritto alla prima elementare.

Ma a scatenare per prima le proteste è stata una donna di 32 anni Tawakkol Karman , una giornalista e direttrice dell’associazione “Donne senza catene”. E’ finita in cella. Ma la protesta popolare ha obbligato le autorità a rilasciarla. Dopo di lei tante altre sono scese in piazza , nel momento in cui padri, mariti e fratelli sono stati arrestati. Alle richieste di democrazia , queste donne , aggiungono maggiori diritti. Il presidente Saleh le giudica non buone musulmane perché, scendendo in piazza insieme ai mariti , hanno infranto il tabù della segregazione.

“Discutere di emancipazione è azzardato , forse dovremmo accontentarci di parlare di partecipazione” interviene Jamila Ali Raja. Il paese è sull’orlo della guerra civile. “Non sappiamo come andrà a finire – conclude Jamila – ma non vogliamo essere usate