Passò il panno morbido sulle corde, il manico e il corpo, come sempre dopo un’esibizione. Un’accortezza che lui sentiva più come un gesto di rispetto verso il suo strumento che come un atto dovuto.
Poi, una sigaretta in solitario fuori dal locale completava il rito.
Una sigaretta maledetta quella che chiude un’esibizione live: per quanto tu sia lento lei finisce sempre troppo presto.
Proprio mentre rifletteva su questa cosa si avvicinò un ragazzino, avrà avuto poco meno di vent’anni.
Si presentò cortesemente chiedendo se fosse di disturbo. Lui sorrise dall’alto dei suoi quarantaquattro anni e lo accolse benevolo.
- No, ma quale disturbo? Dimmi… -
Il ragazzo voleva semplicemente complimentarsi col musicista e ringraziarlo per avergli fatto passare una bella serata. Lui sorrise imbarazzato e non senza far notare che il merito era della band completa, non solo sua.
Matteo, così si chiamava il giovane, annuì e ci tenne a specificare che i complimenti andavano in particolare a lui perché suonavano lo stesso strumento.
L’uomo si bloccò per una frazione di tempo e studiò il ragazzo. Col passare degli anni aveva imparato a riconoscere i musicisti da come si presentavano, ma i ragazzi sfuggono a qualsiasi analisi, la forza dei loro sogni è talmente forte che esplode dagli occhi e li rende tutti uguali.
- E così anche tu suoni il basso…c’è qualche brano in particolare che ti è piaciuto? –
Matteo riusciva a stento a trattenere il suo imbarazzo, ne aveva riconosciuto uno solo in tutto il repertorio e temeva di fare una brutta figura. Tuttavia fu sincero, anche perché se mentendo fosse stato scoperto, la figura sarebbe stata ben peggiore.
- Solo “The Kitchen” il brano di Pastorius…è che non ascolto molto il jazz. –
L’altro sorrise paternamente.
- Chicken…il brano è intitolato “The Chicken”, kitchen significa cucina, ma non preoccuparti è facile sbagliarsi. E non preoccuparti se non ascolti jazz, quando e se sarai pronto allargherai la tua mente ed ascolterai tutto quello che sia ben fatto, per il momento accontentati di seguire l’istinto…a proposito, sai perché il brano di Pastorius si intitola “Il Pollo”? –
Parlando passarono tre, quattro sigarette. Lui non aveva mai amato parlare di musica, dal momento che suoni, e bene, non c’è motivo di parlarne. Così la pensava. Infatti fu bravo a disegnare percorsi alternativi che portarono il ragazzo a scoprirsi, a parlare di sé, della vita. Certo, la musica in sottofondo, ma semplicemente un pretesto per viaggiare con la mente. Capì molto di Matteo in poco. Il suo disagio era vivo e graffiava. Quel corpo magro a malapena riusciva a trattenerlo e la paura passava tutta attraverso quella postura lievemente ricurva, gli occhi spesso a terra e le mani in tasca. Ma Matteo aveva anche uno sguardo tremendamente intelligente, parlava bene ed argomentava senza sputare sentenze immotivate; cosa tipica, il sentenziare con presunzione, di chi crede di essere migliore degli altri.
Il quasi quarantacinquenne aspettava quella domanda come si aspetta un verdetto e quella arrivò puntuale e precisa:
- Io vorrei continuare a studiare musica dopo le superiori, ma ho paura. Se dovessi diventare un morto di fame? I miei si aspettano che vada all’università e forse potrei non avere il loro sostegno, specie economico, se mi dedicassi solo alla musica. Secondo lei che dovrei fare? –
Solo un diciottenne poteva fare una domanda così brutale. L’uomo gli posò una mano sulla spalla e tacque per alcuni secondi, eterni. Cosa dire? Quale insegnamento dare? Come si può rischiare di indirizzare una vita verso una direzione magari sbagliata? Chi era per farlo? Certo, si trattava di esprimere semplicemente un’opinione personale, ma non era così. Il ragazzo chiedeva aiuto e quando sei disposto a chiederlo al primo sconosciuto che ti capita a tiro, magari potresti dargli anche retta.
Lui cercò la soluzione al quesito e ponderò attentamente:
-Sai, Matteo, io credo che il problema non sia la musica, l’università…no, tu hai paura. Hai paura dei tuoi genitori, hai paura del giudizio degli altri e questo ti blocca, non ti fa scegliere. Io non ti dirò cosa devi fare, perché non posso. Quello che voglio dirti è di non aver paura di scegliere. Quando pensi di essere convinto, fallo, scegli. E non pensare che la vita finisca lì, in una scelta magari sbagliata. Sei giovane e ti assicuro che una seconda possibilità ce l’hanno tutti, non aver paura di sbagliare. –
La conversazione durò pochi minuti ancora, convenevoli, ringraziamenti, nulla di più.
Matteo si allontanò, guardava in aria, verso il cielo scuro, la luna, le stelle.
L’uomo si accese una sigaretta.
Guardava la sua auto da ottantamila euro parcheggiata davanti al locale. Uno sfizio, una voglia, magari un simbolo.
Pensò a quando terminò le superiori. Studiava basso elettrico già da tre anni ed era diventato bravo, molto. Tanto bravo da dover scegliere tra uno studio matto della musica, otto, nove ore al giorno, oppure l’università.
L’errore te lo ritrovi dietro la schiena in un corridoio buio, come un assassino.
Lui si girò, lo guardò negli occhi e gli sorrise con disprezzo.
Poi tornò dagli altri per salutarli, il pomeriggio seguente avrebbe dovuto effettuare un’operazione a cuore aperto, una vita dipendeva dalle sue mani e doveva essere pronto.