Apple si trova a fronteggiare delle gravi accuse pubblicate dal New York Times, riguardanti le presunte pessime condizioni di lavoro offerte nei stabilimenti cinesi. Si parla di eccessivi orari di lavoro, condizioni di sicurezza non garantite a pieno e punizioni fisiche per i dipendenti all’interno delle fabbriche di IPAD.Da precisare che sono fabbriche che formalmente non hanno nulla a che vedere con l’azienda di Cupertino.
I giornalisti Charles Duhigg e David Barboza hanno raccontato la storia di Lai Xiaodong, un ragazzo cinese di 22 anni che dopo il conseguimento della laurea si trasferì a Chengdu, città di 12 milioni abitanti nel sudovest della Cina diventata uno dei centri di produzione più importanti al mondo.
Lai era stato assunto dalla Foxconn Technology, azienda che ha stabilimenti in tutto il paese e che produce circa il 40% dell’elettronica di consumo al mondo per conto delle case più importanti, per un lavoro di riparazione retribuito 22 dollari al giorno.
Il codice di condotta dei fornitori Apple stabilisce che i dipendenti di un impianto non devono lavorare per più di 60 ore a settimana, escluse circostanze straordinarie e di emergenza.
Nonostante questo, però, Lai era costretto a stare in fabbrica 12 ore al giorno per sei volte alla settimana. Alla fine della giornata, aveva la fortuna di poter riposare in una camera abbastanza grande da contenere un solo letto, che condivideva con la sua ragazza.
Di sicuro le condizioni dettate da Apple li non vengono rispettate.
In un recente rapporto, la casa di Cupertino ammise che si sono sensibilmente ridotti i casi di lavoro minorile, ma la regola delle 60 ore settimanali è stata rispettata solo il 38 percento delle volte.
A ciò vanno ad aggiungersi violazioni al suo codice di conformità per le condizioni ambientali in ben 14 impianti.
Un rapporto trasparente, quindi, che conferma al tempo stesso l’impegno del gruppo per evitare problematiche simili e la consapevolezza del fatto che imporre regole “occidentali” in Cina è in questa fase ancora eccessivamente complesso.
I lavoratori non hanno infatti una formazione adeguata circa l’utilizzo di prodotti chimici e non godono neanche di un’adeguata assistenza sanitaria. Alcuni operai segnalano inoltre una scarsa ventilazione all’interno delle fabbriche e inadeguati strumenti di protezione individuale.
Nel maggio del 2011, una violenta esplosione coinvolse un impianto di Chengdu, uccidendo quattro dipendenti e ferendone 18.
Lai, che aveva iniziato il suo turno da due ore, subì bruciature per il 90 percento del suo corpo, morendo due giorni dopo l’incidente.
Sicuramente Apple non è certo l’unica ad affidare i propri prodotti alla Foxconn ed altre aziende di condotta similare: il miglioramento delle condizioni di lavoro in Cina parte anche da una maggior sensibilizzazione a tali problematiche da parte delle aziende occidentali interessate.
Fonte: New York Times