Il Cristianesimo e la tradizione Zen condividono l’approccio nei confronti della vita, l’amore per la natura, il rispetto per le donne e lo spregio per l’esteriorità. La cosa più difficile nella realizzazione di un’opera di questo genere è di certo la liberazione dalle sovrastrutture preconcette e dai pregiudizi, oltre che dalle verità già stabilite. Si tratta di un magnifico libro, intenso anche se delicato, che mette a confronto alcuni passi del Vangelo con storie di tradizione buddista e letteratura Zen per sottolineare come religioni in apparenza molto diverse abbiano invece molto più in comune di quanto si possa pensare.
Il Cristo Zenè un testo insolito per un autore che si dichiara apertamente ateo, però è frutto di un’analisi attenta che si riflette in una scrittura chiara e altrettanto puntuale. Lo scrittore, agnostico convinto, non può però negare la fede di tanti altri uomini e ha deciso, con la scrittura di quest’opera, di analizzare un fenomeno importante e presente nella vita di moltissima gente. Dell’ardimentoso progetto, l’elemento più apprezzabile è l’analogia tra la vita di Gesù Cristo e quella del Buddha storico. Sono due figure che presentano parecchie similitudini: l’amore per tutti gli esseri viventi, l’essere anti-intellettuali e anticonformisti, l’insofferenza verso l’esteriorità e i formalismi, così come l’uso del pensiero aforistico. Lo scrittore vede entrambi i personaggi come riformatori moderni scevri da pregiudizi e dediti alla libertà di pensiero, al sacrificio, al desiderio di rinascita, al pragmatismo così come alla dolcezza. L’obiettivo principale di Montanari è di individuare i tratti comuni alle due fedi. E va detto che ce ne sono tanti, fra i quali spiccano l’attacco all’ipocrisia, il rifiuto dell’approccio intellettuale alla fede e il rapporto primitivo con la natura. Nello Zen la spiritualità è imprescindibile dalla natura stessa, cosa che accade in parte nel Cristianesimo con San Francesco. Per l’autore esistono degli aspetti delle religioni che andrebbero però quasi necessariamente recuperati, come il disprezzo per l’esteriorità nella sua accezione principale, inteso come ritrovamento di un equilibrio maggiore tra interiorità e apparenza. Il nostro esterno deve essere in sintonia con il nostro interno perché, come predicava Gesù, “digiunare non serve se non credi in quello che stai facendo e lo fai solo per dovere sociale”. L’episodio Zen rappresenta così una sorta di fatto concreto e, dunque, anche narrativo, ed è l’equivalente della predicazione di Gesù: fondamentale nello Zen è, infatti, la trasmissione diretta dell’insegnamento da maestro a discepolo.
Il Cristo Zenè un saggio che fila come un romanzo, il cui messaggio principale dice che la vita è in continuo cambiamento ed è essa stessa costante novità (lo diceva il pensatore Raimon Panikkar) e che “il corollario di tale audacia richiede però l’umiltà di sapersi fallibili”.
L’ultimo libro di Raul Montanari rappresenta dunque un cambio di rotta dalla sua produzione abituale (in genere romanzi noir), assomigliando molto a una sterzata verso la saggistica e verso la speculazione e l’analisi di idee e dogmi. Ma, attenzione, non si tratta né del lavoro di uno studioso di storia delle religioni né dell’impennata new age o del solito saggio di genere. Il Cristo Zenè un libro che indaga l’interpretazione umana degli insegnamenti dei profeti attraverso i quali l’Essenza divina riesce a farti sentire parte integrante di quella stessa umanità così amata da Gesù Cristo e così tanto praticata negli insegnamenti Zen. L’autore ci conduce attraverso un percorso di scoperta che costruisce sotto i nostri occhi e che combina estratti del Vangelo a racconti Zen, i quali intrecciandosi delineano nuovi scenari e, perché no, nuovi obbiettivi di vita. Riportiamo qualche concetto dell’autore:
Come tutti, ho incontrato prestissimo la parola di Dio, la Scrittura. Molto prima di incontrare non solo le scritture (quelle dei grandi poeti e romanzieri che mi hanno subito affascinato) ma molte cose della vita – accadimenti, misteri, emozioni – di cui la Scrittura mi parlava.
Col tempo, come molti, ho cominciato a occuparmi d’altro. La mia vita è diventata un lentissimo zoom, che lasciava sfumare ai lati le cose grandi e concentrava sempre più il suo focus sulle minuzie, sui dettagli che riempiono il quotidiano, qualunque sia la nostra strada o il nostro mestiere. Nei primi racconti che scrivevo trovavano ancora spazio brividi metafisici, ambizioni alla Totalità che spesso rimanevano tali per scarsa robustezza della mia voce di narratore.
Quindi, man mano, ho cominciato a operare su progetti più vasti, i romanzi.
Allora mi è successa una cosa strana. Mi sono accorto che più nelle cose che scrivevo mi addentravo nei particolari, nelle sfumature dei rapporti umani, nella descrizione di comportamenti estremi, di paure, desideri e tensioni che potevano sfociare perfino in atti criminali, più sentivo il bisogno che le letture, che accompagnavano questi mesi di lavoro dedicati alle vicende che narravo, tornassero ad avere il sapore rigenerante dell’assoluto.
Così ho ripreso in mano la Bibbia. Ho colmato i varchi lasciati negli anni in cui avevo sì la fede, poi perduta, ma non avevo ancora la conoscenza del mondo e dei libri che mi poteva far capire e amare davvero il Libro per eccellenza. E, contemporaneamente, ho cercato anche altrove.
E mi sono imbattuto nel Buddhismo zen.
Ho avuto subito una sensazione di familiarità.
Certe intuizioni dei maestri zen e dello stesso Buddha, le frasi secche, lapidarie, il senso della natura, l’anticonformismo, la libertà di pensiero e la forza delle soluzioni espressive, li ritrovavo anche nelle parole e nei comportamenti di Gesù. A volte immaginavo il Nazareno sullo sfondo dello Yang-tze o del monte Fuji. Oppure vedevo Hui-k’o, l’allievo perfetto, seduto fra i dodici apostoli ai piedi del maestro. O mi figuravo il grande Bodhidharma fra i sacerdoti del tempio di Gerusalemme, unico fra tutti a non stupirsi di quel ragazzino che conosceva la Legge quanto e più di tutti loro, e sulla Legge aveva idee nuove, sostenute da una forza misteriosa. Siddhartha parlava a Benares, nel parco delle Gazzelle, ai suoi primi cinque discepoli, e il Cristo passava poco lontano e si fermava ad ascoltare, con un’espressione di enigmatica comprensione sul volto; poi riprendeva il suo cammino.
Raul Montanari è un vero ricercatore di linguaggi ed è, insieme ad Aldo Nove e Francesco Piccolo, forse uno dei pochi in Italia a poter essere definiti scrittori (lo so, adesso mi attiro le ire di più di qualcuno…) ma è effettivamente vero. Paranoico senza eccessi, ritiene Dio l’unico “materiale letterario” veramente interessante sia “da scrivere” che “da leggere”, soprattutto nella parte che riguarda gli elementi sconosciuti, non canonici. Si definisce “invidioso nel senso buono” (quello che i greci chiamavano zelos): se vede una cosa ben fatta, gli viene subito voglia di farla altrettanto bene, se non meglio. Molto contrario all’editoria a pagamento, si dice stufo di chi ne fa uso – e abuso – per spacciarsi per scrittore e fare il figo su Facebook.
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