Il debito pubblico nell’area dell’euro

Creato il 30 aprile 2012 da Ilsegnocheresta By Loretta Dalola

Avevamo costruito il mercato unico europeo e una moneta unica, com’è successo che in questa idea comune la crisi ha colpito così duramente proprio la zona comuniatria che credeva di aver trovato una soluzione a tutto ?   La risposta cerca di darcela Giuliano Amato  nel  programma televisivo in onda  su Rai Educational dal titolo Lezioni dalla crisi, nato con l’obiettivo di spiegare, in maniera chiara e comprensibile per tutti, la natura, le caratteristiche, le prospettive di evoluzione della crisi economica che stiamo attraversando.

Partiamo dall’analisi della Grecia e dalla sua spesa pubblica che risulta spaventosamente più alta di quanto si potesse immaginare.  Drammaticamente il debito greco annuo è superiore al 10%, considerando che tale fatto risulta già alto quando raggiunge il 3% rispetto al Pil, si ha subito l’agghiacciante impressione che qualcosa sia andato fuori controllo, che non sappiamo fare i conti, oppure, siamo stati imbrogliati.  In entrambi i casi il livello di fiducia nei confronti della Grecia è caduto velocemente e l’ha fatta entrare di diritto nei PIGS, acronimo che raggruppa i Paesi europei che presentano una precaria condizione dei conti pubblici che, unita ad una scarsa competitività dell’economia nazionale, rendono incerta la capacità di ripagare il debito pubblico accumulato.

Eppure l’Europa si era data delle regole stringenti che non sono state sufficienti al controllo dei dati. L’inefficienza di Atene pesa, ma i messaggi contraddittori e la mancanza di una strategia chiara da parte dell’Ue ha contribuito a rendere la matassa inestricabile. La soluzione rimane sul filo del rasoio, come sempre da quando sono emersi i suoi guai. Le responsabilità della Grecia sono evidenti. Ma sono gravi i difetti del modo con cui l’Ue ha gestito la crisi.

Rafforzare i controlli garantirà una protezione futura utile a tutti, ma nel frattempo, il caso greco ha messo  in risalto che la crisi è cominciata  sul terreno delle banche e dal pubblico al privato,  trasferendo il debito dello stato sul contribuente. E questo ha spostato la tensione e l’attenzione sui titoli pubblici, è da qui che ha preso il via la questione dello spread.

Sarebbe servita più cura nel disegnare riforme strutturali e scadenzarle su un periodo realisticamente lungo, assicurando il finanziamento necessario, anche a progetti specifici orientati alla crescita, di scadenza in scadenza, senza consentire ai tassi sulle nuove emissioni di titoli di Stato di raggiungere i livelli che hanno toccato.

I titoli pubblici in passato erano la massima garanzia di solidità di uno Stato.

Del resto uno Stato non fallisce! Embhé, fino a un certo punto, vedi Argentina…allora il mercato ha cominciato a guardare ai titoli considerandoli non più tanto sicuri…ed ecco che l’andamento dell’economia scende verso la recessione. Meno economia, meno produzione, che crea una scia di ragioni per cui il debito pubblico diventa un problema comune. E lo spread diventa il termometro dell’affidabilità  rispetto alla Germania che è il paese più virtuoso.  Si è passati da stress-test permissivi, che consideravano quasi tutti i titoli di Stato non svalutabili, all’obbligo di valutarli ai prezzi stracciati che quota il mercato. Dopodiché non si sa più se il vero problema sia la solvibilità dei governi interessati o quella delle banche creditrici. E il debito pubblico è diventato il protagonista di una crisi difficile da trattare che sta interessando tutti i 17 paesi che hanno adottato l’euro. Stare nell’eurozona necessita di requisiti, come la tripla A.  E l’euro invece che uno scudo è diventato un laccio.

Come mai la moneta unica non è riuscita a creare un’omogeneità sui mercati come ci si auspicava? Perché ci ha tradito? Problemi di struttura.  E’ mancata una forma d’integrazione fiscale, come è mancata di fatto  l’integrazione politica. Il progetto di unione monetaria poteva avere qualche possibilità di riuscita se gli stati aderenti si fossero avviati in un percorso di convergenza, sia dal punto di vista della crescita economica sia da quello dei parametri di finanza pubblica. Invece i paesi si sono avviati in un processo di divergenza, e per lungo tempo tutti sono stati a guardare incuranti del ticchettio di una bomba a orologeria. Si è raggiunto il punto di rottura, e si naviga a vista, crisi dopo crisi, con provvedimenti che non risolvono i problemi di fondo.  Problemi che influenzeranno la vita di tutti per decenni a venire.

L’Europa avrebbe dovuto impegnarsi di più, anche sul fronte della comunicazione e dell’immagine, a valorizzare le potenzialità dei suoi paesi.  E’ chiaro che qualcosa non ha funzionato. Sotto l’euro esiste solo un paese virtuale, l’Europa, che però non ha messo insieme economie, ricchezze e debiti facendone una cosa sola.