IL DEMONE DELLA MODERNITÀ | Pittori visionari all’alba del secolo breve

Creato il 02 aprile 2015 da Amedit Magazine @Amedit_Sicilia

di Massimiliano Sardina

Il demone che abita l’oscurità è lo stesso che si manifesta attraverso la luce. Al lutto del secolo che muore fa da contraltare il bagliore festante (artificiale, elettrico, accecante) del Novecento avanguardista, l’époque du nouveau, il grande sfavillante secolo della modernità. Un passaggio al contempo drastico e sfumato: da un lato il lento scorrere e stratificarsi degli eventi, dall’altro l’impatto violento e improvviso del nuovo che avanza; tutto sembra verificarsi in un’unica soluzione di continuità, tra resistenze accademiche conservatrici e slanci sperimentali sconsiderati (dalla notte al giorno e dal giorno alla notte). L’Ottocento tramonta sotto una molteplicità di luci, quelle fuggevoli e leggere dell’Impressionismo e quelle pregnanti e spettrali del Simbolismo. La mostra Il demone della modernità (curata da Giandomenico Romanelli) vuole raccontare – attraverso una cernita di opere realizzate grosso modo tra il 1880 e il 1930 – gli sconvolgimenti che hanno scosso l’Europa a cavallo dei due secoli; l’occhio di bue s’accende sul lato oscuro decadente e crepuscolare, sulla zona d’ombra, su quell’immaginario demonico e onirico che poi sarebbe culminato nel Surrealismo. Mentre i semi malsani del primo conflitto bellico premono dal ventre della terra, gli ultimi fuochi della Belle Époque scolorano nel fumo. Pittori, scrittori, poeti, musicisti… sollevata la botola del baratro tutti si sporgono a rimirar la tenebra, la misteriosa dimensione inconscia indicata da Sigmund Freud (L’interpretazione dei sogni, prima bibbia della psicoanalisi, viene pubblicato nel 1901).

Qual è il confine tra il sogno e l’incubo? Cosa distingue una visione da un’immagine reale? Franz von Stuck, Max Klinger, Gustave Moreau, OdilonRedon, Sascha Schneider, Adolf Hengeler, FélicienRops, Leo Putz, Oskar Zwintscher… fino agli italiani Alberto Martini, Bortolo Sacchi e Astolfo De Maria. Le opere sono raggruppate in sei diverse sezioni: sotto il segno di Lucifero; luoghi dell’illuminazione e Ziggurat dell’anima; angeli e demoni, sogni, incubi, visioni; il trionfo delle tenebre, verso l’olocausto mondiale; altre metamorfosi; Luci(fero) tra i grattacieli. Le opere che più connotano Il demone della modernità sono il Lucifero di von Stuck (1890) e la New York di Gennaro Favai (1930), quest’ultima non a caso scelta come immagine di locandina. Se nell’angelo caduto del celebre simbolista tedesco (tra i fondatori, con Klimt, della Secessione) a stagliarsi in primo piano è l’icona stessa del buio, – un buio pesto, grave, definitivo – nei grattacieli di Favai la metropoli brucia nella luce, scintilla nel fumo, rovente e al tempo stesso fredda, come implosa tra acqua e cielo.

Orchi, arpie, rapaci, fiere, creature zoomorfe, diavoli e diavolesse, streghe, sfingi, scheletri, elfi, satiri, mitologie, allegorie, un bestiario orrorifico e fantastico desunto da ogni sorta di testo apocalittico: nulla di nuovo sotto il sole (né sotto il chiarore lunare), lo stesso immaginario era stato indagato un secolo prima dalla generazione di Fussli e Blake, anche se ora (con le grandi guerre all’orizzonte) la notte sembra essersi fatta più fitta, impenetrabile, dolorosamente presaga. Nel Simbolismo, a ben guardare, non permane che un debole alone del Romanticismo, una patina leggera, un pallido richiamo; la razionalità si lascia scalzare dalla paura, le certezze del presente dalle foschie del futuro, e prevale uno stato d’animo teso, inquieto, inquietato. Già Baudelaire, nel 1859, aveva definito l’immaginazione “regina di tutte le facoltà dell’anima”, madre degli umori e degli stati interiori. Tra ‘800 e ‘900 quest’immaginazione squarcia prepotentemente il velo della tenebra (pensiamo anche alla vertigine della poesia di Mallarmé e di Verlaine) e compie un’incursione (ora psicologica, ora esoterica) nel nero insondato dell’inconscio. Certi itinerari saranno poi riattraversati e portati alle estreme conseguenze dai surrealisti (Breton nella poesia, Delvaux e colleghi nella pittura). Un secolo che muore in un secolo che nasce, un crepuscolo prima serotino e poi viepiù ottenebrato che d’improvviso s’accende di nuove moderne suggestioni elettriche: il demone della modernitàconserva gotiche fattezze luciferine, ma lo sguardo che sbircia dalla tenebra ammicca già, intermittente, al sorgere di una nuova luce.

La mostra Il demone della modernità – Pittori visionari all’alba del secolo breve (Palazzo Roverella, Rovigo) chiuderà i battenti il 14 giugno 2015. Nel catalogo della mostra (edito da Marsilio) i testi di Giandomenico Romanelli (curatore dell’evento, insieme a Franca Lugato e Alessia Vedova), Luca Massimo Barbero, Melania G. Mazzucco, Paola Bonifacio, Biserka Rauter Plancic, Raimonda Norkuté, Christiane Starck e Michele Gottardi.

Massimiliano Sardina

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Questo articolo è stato pubblicato sulla versione cartacea di Amedit n. 22 – Marzo 2015.

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