Il denaro nella letteratura

Da Marcofre

Scrive Stephen King:

Ugualmente sbagliato è dedicarsi volontariamente a un genere o a un certo tipo di romanzo al solo scopo di guadagnarci. (…) il fine della fiction è di trovare la verità dietro la ragnatela di bugie della storia, non di macchiarsi di disonestà intellettuale andando a caccia di soldi.

Prima considerazione: ci sono ben due avverbi! Qualche pagina prima, lo scrittore consigliava di limitarne l’uso ai dialoghi. Non è di questo che però volevo parlare.

Se si rilegge la citazione, si può reagire in due modi. Crollando il capo (“Ci piglia in giro, con tutti i soldi che ha guadagnato!”); oppure assentire (“Siccome ha guadagnato una montagna di denaro dopo, vede meglio la verità”).

Credo alla seconda “reazione”. In fondo perché fare lo sbruffone sulle pagine? Per guadagnarsi il consenso di certa critica, o di ammuffiti salotti letterari?
Da come scrive, sono portato a escluderlo.

La realtà è di una semplicità sconcertante, ecco perché spesso preferiamo rimuoverla dal nostro orizzonte.
King quando ha iniziato a scrivere, non immaginava il successo, il denaro, i film tratti dai suoi romanzi. Nessun autore che abbia una pallida idea di che cosa sia la letteratura (una specie di lotteria, però truccata), inizia a scrivere le sue storie con l’idea di arricchirsi.

Scott Fitzgerald nell’ultimo anno della sua vita vendette complessivamente 40 (quaranta) copie dei suoi libri, per un guadagno di meno di 15 Dollari. Il riconoscimento delle sue qualità arrivò dopo la sua morte.

A 25 anni aveva collezionato 122 biglietti di rifiuto da parte di editori. Abbandona New York, torna a casa e annuncia ai suoi di voler dedicarsi a un romanzo (Di qua dal paradiso). Senza soldi, senza un editore, con 122 biglietti che dicono: “no no no no no no” per 122 volte. Lo fa forse per denaro? Penso proprio di no; tutto gli è contrario.

“Oh”, esclamò Helen Earle, gentile ma non tanto colpita. “Deve essere fantastico anche fare lo scrittore. È così interessante!”
“Ha i suoi lati positivi”, disse lui… Pensava da anni che fosse una vita da cani.

È Scott Fitzgerald a scrivere questo in uno dei suoi racconti. In due righe fa a pezzi il romanticismo che circonda lo scrittore, o meglio: l’idea che le persone si fanno di chi scrive. “Fantastico”; “interessante”: niente di tutto questo: “una vita da cani”.

Il carburante che spinge a sedersi a una scrivania per trascorrere ore e ore in compagnia di aggettivi e avverbi, non è il denaro. Bensì il desiderio di offrire al lettore qualcosa che lo sorprenda, e lo induca ad alzare la testa, a ricordarsi che merita di meglio. Ed è un dramma, perché questo nel 90% dei casi si scontra con le esigenze della vita: bollette da pagare, eccetera eccetera.

Eppure Scott Fitzgerald e non solo lui, ha continuato…


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