IL DESERTO DEI TARTARI - di Dino Buzzati

Creato il 10 aprile 2013 da Ilibri

Titolo: Il deserto dei tartari
Autore: Dino Buzzati
Anno: 1940 (Prima Edizione Originale)

Alla Fortezza Bastiani de "Il deserto dei Tartari" bisognerebbe mandarci quel signore che alla fila dell'ufficio postale con il numeretto in mano sbircia i cedolini di prenotazione degli altri utenti. Mostra segni di impazienza guardandosi intorno, sbuffando, rovistando tra le carte sparse in cerca di un numero inferiore per scavalcare la coda. Accampa motivi come: i bambini lasciati in auto da soli, la mamma in ospedale, il responsabile dell'ufficio che gli farà una lavata di capo storica. Ogni volta che si libera uno sportello prova ad avanzare facendo lo gnorri e scusandosi per aver frainteso.

Leggendo il libro di Dino Buzzati, si stupirebbe della forza d'animo del Tenente Giovanni Drogo, inviato ai confini del Regno appena nominato ufficiale, di stanza in quella fortezza dalle mura gialle.

"Drogo la guardava ipnotizzato e un inesplicabile orgasmo gli entrava nel cuore."

Rimarrebbe di sasso nel vedersi costretto in un luogo inospitale e disadorno, avendo ben altre speranze e sogni di gloria.

"Ho capito: lei la Fortezza la immaginava diversa e adesso si è un po' spaventato. Ma mi dica onestamente: come fa a giudicare, onestamente, se è arrivato da pochi minuti?"

Fuggirebbe a gambe levate, con le chiappe a sbattere sulle spalle, pur di abbandonare quel posto.

"A meno che lei non si adatti a restar qui quattro mesi, il che sarebbe la soluzione migliore."

"Quattro mesi?" chiese Drogo, già alquanto deluso, dopo la prospettiva di potersene andare subito.

Si calerebbe in una realtà unica e prestabilita, dove la disciplina e le stringenti logiche militari farebbero sembrare naturale sparare in fronte a un sottoufficiale che per sbaglio fosse capitato fuori dalle mura della fortezza, non potendo farsi riaccogliere nuovamente all'interno senza proferire la parola d'ordine. Soltanto che la parola d'ordine i sottoufficiali, per gerarchia, non sono tenuti a conoscerla.

Così morì il sottotenente Lazzari, colpito nonostante fosse stato ben riconosciuto.

Parlando del romanzo in modo appropriato, stupisce la capacità di Buzzati di riempire di contenuto una storia meramente piatta e squallida: un tenente che viene inviato in un avamposto ad aspettare il nemico tutta la vita, che allorquando questi si presenti, purtroppo muore.

Il senso della vita, potrebbe essere il sottotitolo de "Il deserto dei Tartari". Si vive un'intera esistenza nell'attesa che succeda qualcosa, quella cosa, che imprima un significato alla monotonia dei giorni tutti uguali. A tutte le assurdità  e le stranezze.

Un romanzo metafora del perché, percome e del ma chi cazzo ci ha messi al mondo e per fare cosa.

L'ispirazione, all'autore del più bel romanzo d'amore del secolo scorso, ça va sans dire "Un amore", venne nelle annoiate giornate d'ozio nella redazione del Corriere della Sera, grattandosi la testa insieme ai suoi colleghi cronisti. Voleva essere un espediente per trasfigurare l'attesa di una novità che tarda ad arrivare.

La novità nella fortezza Bastiani sembra ogni volta sul punto di fare la comparsa. Per decenni e decenni. Ma si rivela sempre un fuoco fatuo.

In finale il nemico paventato e sempre atteso appare per davvero. Soltanto che il tenente Drogo è ormai invecchiato, malato, solo e costretto dal superiore a lasciare il bastione per far posto a giovani valorosi più prestanti per pugnare efficacemente.

La delusione però che si potrebbe attendere sul volto del vecchio perdente che ha investito una vita intera in quell'unico scopo, si trasforma in un sorriso semplice e rilassato, come chi abbia compreso alla fine tutto quello che c'era da capire. Da solo in una semplice locanda.

"Facendosi forza, Giovanni raddrizza un po' il busto, si assesta con una mano il colletto dell'uniforme, dà ancora uno sguardo fuori della finestra, una brevissima occhiata, per l'ultima sua porzione di stelle. Poi nel buio, benché nessuno lo veda, sorride."

"Il deserto dei Tartari" può essere preso ad emblema del significato dell'esistenza dell'uomo: si vivono le giornate pianificando e rimuginando in attesa dell'evento che giustifichi tutta una vita. Il primum movens.

Sarebbe stato diverso restare accanto a sua madre e alla fidanzata anziché esiliarsi al termine del mondo a lui conosciuto per difendere i confini dal nemico?

Forse.

O forse no.

Ah, scordavo: quello della fila alla posta aveva veramente lasciato i bambini in auto da soli, in doppia fila.

  

  

  

  

  

 

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