“Il destino dell’uomo è di avere della giustizia fame e sete”: le verità nascoste sul caso Moro.

Creato il 17 dicembre 2014 da Thefreak @TheFreak_ITA

Ho la presunzione di affermare che molto di ciò che leggerete non era a voi conosciuto. Perché, si sa, in Italia, spesso la verità si nasconde. E la stessa presunzione mi porta a ritenere che rimarrete basiti da tutte le verità nascoste sul caso Moro e che vi capiterà, durante la lettura, di sentire quel brivido lungo la schiena che di solito viene quando, vedendo un film giallo, scopriamo che dietro all’omicidio c’era proprio chi doveva proteggere la vittima. Cosi come dietro l’omicidio Moro sembrerebbe esserci chi lo doveva proteggere e chi deve, dovrebbe, proteggere me,te, noi, voi: lo Stato Italiano.

Aldo Moro ha detto “forse il destino dell’uomo non è realizzare pienamente la giustizia ma avere della giustizia fame e sete” .

Ed è stata la fame e la sete di giustizia a spingermi fino a Civitavecchia* per ascoltare uno tra i numerosissimi incontri promossi dall’On. Gero Grassi , deputato Pd, da sempre interessato alla questione Moro e da sempre “assetato ed affamato” di giustizia. Non a caso, su impulso proprio dell’On. Grassi è stata istituita un’altra commissione, mi auguro decisiva, per risolvere il giallo Moro. Troppe volte la verità ci è stata negata. Questa volta spero, e credo, non accadrà. Del resto queste sembrano essere le intenzioni di Gero Grassi che, parafrasando Pasolini , afferma “Io so ma non ho ancora tutte le prove”.

Durante la conferenza non hanno trovato spazio riflessioni, deduzioni o considerazioni personali ma si è sempre fatto riferimento, la maggior parte delle volte riportando le testuali parole, a stralci di atti della magistratura, testimonianze, resoconti di indagini, dichiarazioni, intercettazioni.

La migliore definizione del caso Moro è racchiusa in poche parole: delitto di abbandono . Ed ora capirete perché.

Nel 1974 Moro riceve questo messaggio da Washington (nello specifico da Henry Kissinger) “Onorevole lei deve smetterla di perseguire il suo piano politico per portare tutte le forze del suo paese a collaborare direttamente. Qui o lei smette di fare queste cose o lei la pagherà cara ,molto cara. Veda lei come vuole intenderla” .

Il rapimento e la morte di Moro erano annunciati. Nel Dicembre del 1977 su Op, giornale di Mino Pecorelli, appare un titolo macabro : “Se Moro vivrà ancora..”. Non solo. Il 2/3/78, quindi prima del rapimento Moro, su carta intestata del Ministero della difesa, parte un documento diretto a Beirut al colonnello Giovannone, a cui si ordina di prendere contatti immediati con il fronte di Liberazione della Palestina per quanto concerne la liberazione di Moro.

Moro, però, sarà rapito 14 giorni dopo. Inutile precisare che Moro non ha mai saputo di ciò. Inoltre, era previsto che il colonnello Giovannone dovesse distruggere il documento, cosa che però non è avvenuta, permettendo di scoprirlo. In seguito, il colonnello responsabile della mancata distruzione, viene trovato impiccato: un caso di suicidio con circostanze sospette.

E’opportuno ricordare, inoltre, che il colonnello Giovannone in precedenza era stato arrestato insieme con il generale dei servizi segreti Santovito per traffico illecito di armi tra le brigate rosse e l’Olp.

Un altro dato: i giudici hanno scoperto che negli archivi segreti francesi che nel febbraio 1978 era partita una comunicazione diretta ai Servizi Segreti Italiani in cui si avvertiva che erano giunte notizie sul fatto che Aldo Moro sarebbe stato rapito nel mese di Marzo di quell’anno.

L’attentato è avvenuto alle 9:30 circa in Via Fani, una zona in cui Moro non si sarebbe dovuto trovare. La pattuglia in cui viaggiava Moro, infatti, riceve una telefonata ed ,improvvisamente, cambiò tragitto. Un cambio di tragitto che fu fatale. Chi ha chiamato la pattuglia in cui viaggiava Moro con la scorta? Ecco una possibile risposta. Quando vengono arrestati due capi delle BR, a casa del capo del KGB italiano, viene trovato un biglietto con il numero telefono di un maresciallo (iscritto alla P2) addetto al servizio radio scorte il giorno dell’agguato. Nella stessa casa viene trovata carta intestata dello IOR (Istituto per le Opere di Religione).

Ma gli sconcertanti collegamenti tra la Chiesa e questo caso non sono finiti. Alessio Casimirri, uno dei brigatisti coinvolti nel caso Moro, ha due genitori legati alla Santa Sede: la madre è una cittadina vaticana, il padre è stato capo ufficio stampa di Papa Paolo VI, Giovanni XXIII e Pio XII . Il migliore amico del padre è Santovito, generale dei servizi segreti. Un’altra coincidenza: Casimirri è l’unico a non essere arrestato dopo 37 anni. Fugge in Nicaragua.Continuano ad arrivare sue notizie da tale nazione: si è sposato ed ha aperto un ristorante ma resta “latitante”. I servizi segreti sono andati a cercarlo ma senza alcun esito.

Nel corso del rapimento Moro vengono sparati 96 colpi ,di cui 48 dalla stessa arma. 34 colpi erano in dotazione a corpi di polizia non convenzionali (depositi Nasco e Gladio). C’era anche una moto Honda e Valerio Morucci, uno dei capi delle Br, afferma che chi sparava dalla moto non apparteneva alle Br.

Solo di recente (10 ottobre 2009) si è conosciuta la verità, grazie ad una confessione scritta ed allegata al testamento di un soggetto che afferma di essere stato alla guida di quella famosa e misteriosa moto. “Quando riceverete questa lettera saranno trascorsi sei mesi dalla mia morte. Ho passato la vita nel rimorso di ciò che ho fatto e di ciò che non ho fatto. Voglio fare questa confessione: la mattina del 16 marzo ero uno dei due nella moto Honda, ero alle dipendenze del colonnello Guglielmi” .

Si scopre che proprio Guglielmi era a via Fani quella mattina. Alla domanda sul perché fosse a Via Fani in quel momento risponde: “Ero stato invitato a pranzo da un amico”. Ma alle 9,15 di mattina, capirete bene, non si pranza. Del resto l’amico smentisce e racconta “ha preso un caffè ed è andato via”. Guglielmi è il vice comandante di Gladio . Il comandante è Musumuci, arrestato per strage alla stazione di Bologna.

Altri inquietanti indizi: a Roma una radio privata dette notizia del rapimento Moro un’ora prima che si verificasse. E sempre quella mattina un aereo libico fa scalo a Roma , arriva alle 8:30 e parte alle 10:30 . In questo frangente ha contatti con il Generale Santovito dei servizi segreti.

Un altro nodo cruciale sul caso Moro è rappresentato da via Gradoli, dove era situata la base delle Br. Via Gradoli nel 1978 era una strada periferica frequentata da prostitute e delinquenti. Appare strano quindi scoprire che il Ministero degli interni avesse 6 appartamenti di proprietà proprio in Via Gradoli e che anche Parisi, all’epoca prefetto e poi divenuto capo della Polizia, avesse 4 appartamenti in quella via. La base delle Br viene scoperta per una perdita d’acqua. Infatti, il 18 aprile, intervengono i vigili del fuoco e trovano armi, munizioni compatibili con la strage di Moro, soldi,carta intestata del Ministero dell’interno e del Mossad, la patente di Mario Moretti, l’indirizzo della topografia utilizzata per il materiale delle Br, le generalità della Balzerani. Insomma, si sarebbero potuti arrestare tutti i membri delle Br ed il caso Moro avrebbe avuto un esito diverso.

Ma i reperti trovati vengono consegnati alla Magistratura solo a fine maggio, quando Moro è ormai morto.

A riguardo è rilevante citare l’affermazione di Pietro Pascalino, all’epoca procuratore generale presso la procura di roma “La polizia spesso fa azioni di parata e non di ricerca. Durante il caso Moro è stata tutta parata”.

Un’altra strana “coincidenza” è che, prima del rapimento, in Italia si trovava un agente segreto sovietico del Kgb, Sokolov, noto ai Servizi segreti Italiani, e che tale soggetto frequentava le lezioni universitarie di Moro. Anche in tal caso, però, i Servizi Segreti Italiani non fanno nulla.

Molto importante è anche la questione riguardante il manoscritto di Moro. I carabinieri all’epoca fanno irruzione nel covo delle Br di Via Montenevoso a Milano e trovano il dattiloscritto del memoriale Moro. Quella stessa mattina Dalla Chiesa chiede di vedere il memoriale. Cosi, si presenta sul posto il capitano Bonaventura che ritira il memoriale Moro e lo porta a Dalla Chiesa. Quindi, lo riporta in via Montenevoso lo stesso giorno ma dopo alcune ore e comunque prima dell’arrivo del magistrato. Bonaventura dichiara espressamente alla magistratura di Milano di avere ricevuto l’ordine da Dalla Chiesa, poi però ritratta.

Il capitano Arlati, che ha consegnato il dattiloscritto, ha affermato che quando lo stesso è stato riportato, il materiale era inferiore. Sospetto è poi scoprire che Bonaventura muore in una circostanza strana: da solo in casa, a meno di 50 anni, proprio il giorno prima di essere interrogato per la terza volta dalla magistratura.

Un’ultima cosa: Angelo Incandela, sotto-ufficiale della polizia penitenziaria di Cuneo, riferisce alla magistratura che Dalla Chiesa e Pecorelli gli dissero che nel carcere di Cuneo c’era materiale di Moro che comprometteva Andreotti e Cossiga. Incandela trova il materiale nelle fogne del carcere di Cuneo e lo consegna al generale Dalla Chiesa, il quale come sappiamo muore alcuni anni dopo per mano della Mafia.

Concludo con una frase di Aldo Moro: “Questo paese non si salverà; la stagione dei diritti e delle libertà si rivelerà effimera se non sorgerà un nuovo senso del dovere. La verità è sempre illuminante e ci aiuta ad essere coraggiosi”.

di Giulio Giglio All rights reserved

* Si fa riferimento  alla Conferenza tenutasi a Civitavecchia lo scorso 27 Ottobre, presso l’Hotel San Giovanni, dal titolo ” Chi e perchè ha ucciso Aldo Moro”


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