Oggi sta spopolando il detective storico. Non c’è niente da fare. In qualsiasi periodo tu voglia mettere il naso giallastro (forse manca il paleolitico ma non ne sono sicuro) eccolo lì pronto a districarsi tra morti ammazzati. Che poi nella storia vera, la sua vissuta voglio dire, abbia fatto tutt’altro importa assai. Basta che sia un personaggio importante, di nome, che attiri subito l’attenzione dei lettori. Per il resto ci pensa lo scrittore ad affibbiargli una qualche abilità investigativa.
Tra i tanti ricordo il già citato Aristotele e poi Machiavelli, Giordano Bruno, Leonardo da Vinci, Socrate, Aurelio Stazio (grande Comastri Montanari!) e via e via e via. Ma il più apprezzato, il più osannato, il più strapazzato è senz’altro il nostro Dante, ora racchiuso in un volumone di quasi novecento paginone dall’esperto Giulio Leoni che lo battezza antenato di Sherlock attraverso Le indagini di Dante, Oscar Mondadori 2013.
Se il nasuto poeta nazionale non investiga è comunque investigato. Soprattutto sulla sua morte che di nemici ne aveva a iosa. Malaria o assassinio? A volte diventa il depositario prescelto di una profezia e immaginatevi i risvolti purulenti, il suo fantasma aleggia nella vicenda sanguinosa oppure arriva alla polizia qualcuno dei suoi versi che portano sfiga tremenda, un manoscritto che potrebbe essere l’originale della Divina Commedia a creare un casino pazzesco, qualche testa matta che uccide seguendo le pene descritte nell’Inferno tanto carucce da mettere in pratica.
Non c’è pace. Anzi, non ha pace. Citato pure indirettamente da altri segugi di orme, vedi la Guerrera di Marilù Oliva che ogni tanto, tra un calcio in bocca e una ginocchiata nelle palle, rigurgita qualche terzina infernale. E insomma di Dante non si butta via proprio niente come si fa col maiale (mi è venuta così).
Su Inferno di Dan Brown taccio che ne sentiremo parlare anche troppo.
E così sia.
[by Fabio Lotti, of course]