Testo dell’intervento di Vladimir Jakunin, presidente fondatore del World Public Forum “Dialogue of Civilizations” (partner dell’IsAG), al dibattito tematico interattivo sul rafforzamento della comprensione interculturale per costruire società pacifiche ed inclusive, svoltosi al Quartier Generale delle Nazioni Unite il 22 marzo 2012. Il testo tocca alcuni dei princìpi fondamentali sui quali il World Public Forum “Diaologue of Civilizations” ha cercato di porre le basi per il raggiungimento di un’interazione pacifica e costruttiva tra i diversi Stati-nazione e le società del mondo.
Il mondo multipolare di oggi si è plasmato su due teorie fondamentali: lo scontro di civiltà e il dialogo tra le civiltà. Possiamo notare che la crisi economica e finanziaria del nostro tempo non è altro che la crisi di uno specifico modello di organizzazione sociale e di crescita economica fondata esclusivamente sul liberismo; la crisi, dal canto suo, ha innescato una serie di trasformazioni globali in tutti i settori della società, dal concetto stesso di civiltà alla speculazione del pensiero umano. Secondo la nostra visione, la prospettiva e gli strumenti conoscitivi del dialogo tra le civiltà, così come sono stati creati e sviluppati nel corso degli ultimi dieci anni, hanno reso possibile la convivenza di società diversificate e l’ipotesi di costruire veri e propri ponti di collegamento tra le culture nel prossimo futuro.
Gli eventi degli ultimi 25-30 anni hanno ancora bisogno di essere studiati a fondo, ma è chiaro fin d’ora che il mondo intero è entrato in una enorme fase di trasformazione sociopolitica ed economica. Alcune delle conferenze organizzate dal World Public Forum – Dialogue of Civilizations hanno portato a questa precisa conclusione.
L’idea che fosse ancora possibile una trasformazione repentina della comunità umana mondiale verso un ulteriore stadio di progresso ha scatenato gli sforzi di coloro i quali hanno effettivamente iniziato a porre le basi per la costruzione di un mondo nuovo, orientato da un nuovo modello economico e politico globale. Purtroppo questa teoria non è stata tenuta nella debita considerazione nelle occasioni in cui la comunità globale si è trovata a dover affrontare cambiamenti drammatici all’interno di specifiche aree del mondo, che per molto tempo erano riuscite a mantenere una certa stabilità, addirittura per millenni. In questo senso è forse possibile parlare di costanti dei processi storici oppure, per dirla con altre parole, principi fondamentali propri delle diverse civiltà che non possono essere ignorati se davvero desideriamo costruire un futuro più attraente per lo sviluppo mondiale.
La storia di questi ultimi decenni ha spesso riportato la cronaca di scontri duri e brutali in diverse zone del mondo. Questi scontri si sono verificati perché la comunità umana possiede un numero di fondamentali fissi più grande di quanto generalmente si creda. Una parte di questi fondamentali latenti consiste in alcuni valori propri delle civiltà, senza prendere in considerazione i quali è impossibile creare un’immagine felice del futuro e del buon governo nella comunità globale.
Durante il XX secolo i conflitti etnici sul nostro pianeta si sono intensificati, e questo processo ha continuato a crescere durante il XXI. Permettetemi di prendere ad esempio una particolare regione del mondo: l’Africa. L’Africa conta al suo interno oltre 50 gruppi etnici e più di 3000 tribù. Durante gli ultimi 40 anni il continente ha conosciuto 18 guerre civili, che sono in larga parte scaturite da conflitti etnici. Circa 10 milioni di persone sono morte durante queste guerre. Lo sfruttamento del nazionalismo da parte di alcune forze politiche ed economiche, mosse dalla volontà di mettere in sicurezza il potere e redistribuire le proprietà, ha giocato un ruolo fondamentale nell’alimentare questi conflitti etnici. E nonostante la disponibilità di strategie di risoluzione dei conflitti, è probabile che ci potrà essere un’ulteriore crescita dei conflitti etnici nel prossimo futuro.
In queste condizioni, l’interazione pacifica di diverse culture etniche è diventata di vitale importanza. Creare una società umana stabile e pacifica, in cui la voce di ogni singolo gruppo etnico e confessione religiosa possa essere ascoltata, rappresenta l’obiettivo fondamentale del nuovo approccio civilizzazionale alla statualità, di cui ho intenzione di parlare oggi.
1. L’approccio civilizzazionale alla comprensione della storia è esistito per un secolo e mezzo, ma lo studio della storia continua ad aderire al paradigma lineare, che Marx e Hegel ereditarono dai tempi dell’Illuminismo. La civiltà, secondo questo paradigma, è concepita come un concetto limitante, che denota l’umanità come un insieme nel suo sviluppo storico, ed è un sinonimo del concetto di “cultura”. Tuttavia, esiste anche un altro significato del concetto di civiltà, più accettabile all’interno del paradigma civilizzazionale. In questo caso la civiltà è intesa come l’insieme delle forme indipendenti di sviluppo storico, che sono sorte all’interno delle particolari aree nazional-territoriali. In questo senso parliamo di Greci, ai Romani, ai Cinesi, agli Indiani, ai Russi e ad altre forme di civiltà. Questo è il significato di civiltà di cui c’è più bisogno oggigiorno, per analizzare le caratteristiche particolari di quello che definiamo il mondo multipolare contemporaneo.
2. Alla fine del XX secolo importanti scienziati della politica hanno immaginato il XXI secolo come il momento in cui il paradigma basilare dell’ordine mondiale sarebbe cambiato, con i vettori principali delle relazioni internazionali che si sarebbero rivolti verso lo scontro di civiltà e il conflitto. Samuel Huntington, nel suo The Clash of Civilizations, descrive un sistema di relazioni civilizzazionali sulla base di premesse strategiche formulate dai rappresentanti della cultura tradizionale occidentale. Nell’opera troviamo l’idea che le caratteristiche primarie d’una civiltà siano l’identità etno-confessionale e l’associazione con un certo territorio.
Huntington scrive anche di talune caratteristiche necessarie d’una civiltà come di un ‘insieme culturale’ che che comprende lingua, storia, religione e costumi. Una delle caratteristiche principali della partecipazione a un particolare tipo di civiltà è che ciascun individuo è in grado di comprendere a quale tipo di civiltà appartiene. Infatti, per Huntington la definizione di civiltà non è separabile dal tema dell’identità personale.
Il modello di civiltà proposto da Huntington collega da vicino la localizzazione geografica con l’appartenenza a una data civiltà, definendo in questo modo i confini delle civiltà contemporanee. I conflitti principali, secondo Huntington, avvengono proprio lungo questi confini, lungo le cosiddette “linee di faglia tra civiltà”1. Secondo la sua visione la principale “linea di faglia” del mondo di oggi è “l’interazione tra il potere e la cultura occidentali e il potere e la cultura non-occidentali”2. Allo stesso tempo, tuttavia, riconosce che nel “vero scontro tra Civiltà e barbarie, le più grandi civiltà mondiali, con il loro corredo religioso, artistico, letterario, filosofico, scientifico, tecnologico, morale ed emotivo, o faranno fronte comune, o saranno impiccate separatamente”3.
Peter Katzenstein, un noto studioso delle civiltà, ha sottolineato che The Clash of Civilizations “è diventato il libro più influente mai pubblicato sul tema delle relazioni internazionali dalla fine della Guerra Fredda”4. Pur notando il brillante contributo dell’autore, Katzenstein sottolinea anche alcuni limiti del lavoro di Huntington. Per lui, “le civiltà sono coerenti, consensuali, invariabili, ed equipaggiate con una capacità di agire come quella di uno Stato”. Katzenstein identifica due contraddizioni nel libro, in questa sequenza: prima di tutto, che “numerose analisi hanno stabilito oltre ogni ragionevole dubbio che gli scontri avvengono soprattutto all’interno di una stessa civiltà piuttosto che tra civiltà diverse”. In secondo luogo, la nozione di conflitto tra civiltà non è “plausibile alla luce del cospicuo fallimento della sua seconda teoria principale. Dalla fine della Guerra Fredda le relazioni tra la civiltà cinese e quella americana sono state sintetizzate molto meglio da termini come ‘incontro’ o ‘fidanzamento’ piuttosto che dalla nozione di scontro”. Sarebbe difficile non essere d’accordo con questo tipo di affermazione, così come con l’idea di Katzenstein che “civiltà plurali e pluraliste rappresentano ciò che molti hanno definito ‘modernità multiple’, che attivano diversi programmi culturali all’insegna di mutate condizioni. Il sorgere, per esempio, di schemi di identità giudaico-cristiana oppure afro-islamica in pratica arricchisce le cosiddette politiche di civiltà. Preconcetti comuni condivisi dai conservatori e dai liberali sia in Occidente sia in Oriente sono diventati in questo modo fortemente pericolosi. Invece di aiutarci a costruire un mondo migliore, diverso, in cui tutte le civiltà possono insegnare e imparare in un contesto condiviso, questi preconcetti rischiano di costruire un mondo di paure e di muri in cui le civiltà sono ridotte a consegnare monologhi di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Negando il pluralismo e la pluralità delle politiche di civiltà, aiutiamo a instaurare le condizioni che ci portano a dimenticare di celebrare e omaggiare l’eterogeneità del patrimonio delle civiltà mondiali e la ricca ricompensa che fidanzamenti e incontri portano con sé”5.
Entrando nel nuovo secolo, il Presidente dell’Iran Mohammad Khatami sottolineò la necessità di un nuovo progetto di sviluppo, che avrebbe avuto a che fare e dovuto affrontare ideologie di sfiducia, agitazione e confronto tra le civiltà. L’iniziativa per un dialogo, inteso come comprensione reciproca e cooperazione tra le civiltà, fu portata avanti dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, la cui 53esima sessione proclamò il 2001 l’Anno del Dialogo tra le Civiltà. Il Presidente Khatami propose che questo dialogo “discutesse gli aspetti storici e filosofici del problema ed esplorasse il significato metaforico e letterale del concetto di ‘dialogo’ e che cosa ne avessero detto i più grandi pensatori a riguardo”6. Khatami parlò dei principi fondamentali che avrebbero dovuto percorrere questo dialogo: uguaglianza e tolleranza reciproca e buona volontà. Secondo la sua visione, un dialogo genuino era incompatibile con concetti come quelli di ‘influenza’ o ‘dominazione culturale’: “Nessuna civiltà ha il diritto di appropriarsi dei traguardi raggiunti da un’altra civiltà, e neppure quello di negare che qualcuna di esse possa partecipare alla storia della comune civiltà umana”7.
Così il progetto di un dialogo tra le civiltà emerse non come antagonista della teoria dello “scontro di civiltà”, fu anzi messo in polemica con esso solo a posteriori, ma come un modello costruttivo per creare un nuovo paradigma di relazioni internazionali, con il desiderio di raggiungere obiettivi come “superare lo stato tragico del mondo di oggi”, liberare l’umanità dalle guerre, dalla violenza, dallo sfruttamento, opporsi alla degradazione morale e studiare i cambiamenti alla base delle catastrofi ambientali.
3. In alcuni loro recenti discorsi, Angela Merkel, Nicolas Sarkozy e David Cameron, i capi delle più forti nazioni europee, hanno riportato l’attenzione su ciò che loro interpretano come il fallimento della dottrina europea del multiculturalismo. La ragione principale di questa inaspettata posizione era il riconoscimento che gli obiettivi politici e le normative dei governi non stavano raggiungendo quella particolare condizione di armonia socioculturale che avrebbe in qualche misura giustificato le politiche migratorie europee.
Il 16 ottobre 2010, il cancelliere tedesco Angela Merkel disse che il modello multiculturale era fallito: “Il concetto secondo cui stiamo lavorando per costruire una società multiculturale, vivendo fianco a fianco e in armonia gli uni con gli altri, è definitivamente fallito”8. Il 5 febbraio 2011 il primo ministro inglese David Cameron annunciò il fallimento della politica multiculturale del governo, richiamando i partner europei a “risvegliarsi e riconoscere ciò che stava accadendo lungo i loro confini”9. L’11 febbraio 2011, anche il presidente francese Nicolas Sarkozy parlò di questa tematica: “Si, siamo di fronte a un fallimento. La verità è che in tutte le nostre società democratiche siamo troppo preoccupati per le identità degli immigrati e non abbastanza dell’identità di coloro che li ricevono”10.
Qual è la ragione di questa unanimità? Sotto l’insegna della dottrina democratica europea, era stato pensato che qualcuno potesse essere contemporaneamente europeo e condividere, per esempio, valori islamici oppure che qualcun altro potesse essere imbevuto dello spirito di due diverse civiltà. Ma questo atteggiamento può evidentemente essere raggiunto soltanto attraverso un particolare apparato legislativo. Diventò chiaro, tuttavia, che l’inter-penetrazione di culture etniche e diverse civiltà non poteva essere consentita né attraverso le leggi né attraverso gli arbitri istituzionali dei valori appartenenti a diverse culture, né, in maniera coatta, attraverso le istituzioni dei governi.
Il primo ministro inglese Cameron ha proseguito inoltre dichiarando che il suo Paese ha bisogno di una forte auto identificazione nazionale per prevenire gli slanci estremisti delle persone. Ha sottolineato pubblicamente la sua posizione inflessibile nei confronti dei gruppi estremisti islamici. Cameron ha notato che i gruppi islamici che ricevono fondi pubblici e fanno poco per combattere gli estremismi dovrebbero essere posti sotto speciale sorveglianza. Era chiaro che intendesse proporre una limitazione del loro accesso ai fondi pubblici, e la proibizione di distribuire i loro opuscoli agli studenti universitari e ai detenuti. “Abbiamo bisogno di molta meno tolleranza passiva di quanta ne abbiamo avuta in questi ultimi anni e molto più liberalismo attivo e, se necessario, di forza”, questa fu la brusca dichiarazione del primo ministro11.
Anche se criticano i limiti della politica multiculturale in maniera così diretta, né Cameron, né Merkel hanno abbandonato la loro fiducia nel liberalismo, secondo la quale i rappresentanti di diverse culture e religioni possono ancora essere in grado di vivere insieme in futuro senza rinunciare alla loro identità e alle loro prerogative nazionali. I leaders europei hanno tuttavia chiarito che le peculiarità nazionali non devono trasformarsi in proteste contro lo Stato. Così i dirigenti inglese e tedesco stanno cercando di trovare una formula magica che consenta alla società di coesistere pacificamente nel rispetto delle diversità culturali. Si tratta di una conclusione ben lontana dalla realtà: il consenso espresso riguarda il fatto che la tolleranza da sola non funziona e che il liberalismo ha bisogno di essere molto più ‘forzuto’, come ha detto Cameron12.
La comunità mondiale e i processi di interazione internazionale crescono all’interno di una fusione o ‘mix’ di cultura trasformandosi in una sorta di entità ‘nazionale nella forma, ma internazionale nei contenuti’. I punti meno d’aiuto per lo sviluppo della comunità mondiale sono, dal punto di vista politico, ‘il rispetto e la comprensione coercitivi’ – la nozione forzata dell’interscambiabilità e della sostenibilità delle culture e delle civiltà, utili soltanto per accomodare gli interessi politici o certe dottrine ambiziose. B. S. Erasov, uno studioso russo specializzato in temi che riguardano le civiltà, ha parlato in maniera molto precisa dell’assurdità del voler condurre un’azione civilizzatrice con la forza, ammantandosi del vessillo della democrazia e del liberismo economico. “Quanto sono più semplici gli assunti che dichiarano la possibilità di ‘cambiare le civiltà’ e ‘trasformarle in società normali’. Quante società nella storia del mondo di oggi, sarebbero in grado di superare questo test psichiatrico? E che cosa comporta ‘cambiare civiltà’ molto rapidamente?”13.
4. La coerenza del mondo civilizzato e il potenziale dell’integrazione, al contrario, presuppongono che la diversità delle culture e delle civiltà debba essere preservata. Prima di tutto, ogni civiltà dovrebbe preservare la sua identità nel mondo frenetico di oggi e portare il suo contributo per il cosiddetto ‘bene comune’ (altrimenti, la parola ‘comune’ non avrebbe significato). In secondo luogo, preservare un’identità significa creare una certa infrastruttura civilizzatrice per l’interazione e il dialogo, che eserciti un’influenza organizzativa e ordinata sulle civiltà che si trovano a interagire. Come ha scritto B.S. Erasov: “Non è lo scontro di civiltà che minaccia le relazioni mondiali, ma, più precisamente, la debolezza dei principi civilizzatori, incoraggiati dall’Occidente, che asserisce che il suo sistema detiene la priorità. Questo porta alla distruzione (…) dei regolatori di civiltà”14.
Nel mondo di oggi, che si trova ad affrontare una crisi derivata dall’approccio semplicistico tipico dei modelli economici, il grado di disparità tra i diversi modelli di esistenza accettabili è arrivato allo stesso punto in cui si trovava durante i primi anni dopo il collasso del sistema di confronto politico. In un certo senso, dal 1917 e fino alla fine degli anni ’80 c’è stato un blocco bipolare in cui gli Stati-nazione, come molecole in movimento sparso, erano orientati sotto l’influenza di uno dei due poli. Questa è stata la causa della polarizzazione. Allora, quasi nello stesso momento, molti dei protagonisti delle relazioni internazionali furono forzati a orientare i loro progetti indipendenti di sviluppo sulla base delle sempre più pressanti leggi del mercato economico. Alcuni ebbero successo in questa sorta di auto sacrificio, mentre altri fallirono. L’esplosione del modello economico liberista del sistema mondiale era basato sulle strategie a lungo termine per garantire la conservazione dello Stato, la libertà, e la sopravvivenza dell’intero sistema inter statale e di relazioni interpersonali che si era costituito nel corso dei millenni. Mi sembra che i progetti con una base civilizzatrice abbiano il più grande potenziale di raggiungere il consenso attraverso il dialogo, per ottenere come base un nuovo ordine mondiale più stabile.
Adesso è arrivato il momento di supportare il nostro forum pubblico con una comunità di persone che lavorano per sviluppare gli aspetti pratici dei vari modelli di dialogo. Il criterio per valutare questi modelli non dovrebbe essere solo l’autorità scientifica e umanistica degli specialisti coinvolti, ma anche l’accettabilità storica e culturale dei modelli stessi.
Una delle conseguenze dei problemi geopolitici del mondo di oggi è stata la nascita di processi attraverso i quali il dominio culturale è diventato sempre più arcaico e barbaro. La società stessa, anzitutto, è soggetta a diventare arcaica attraverso un processo di semplificazione e di declino del grado di complessità delle sue agenzie formative di base, che incide nel ruolo e nel tipo di relazioni sociali che si sviluppano in un determinato contesto, soprattutto in quelle di natura etnica. Il punto centrale della barbarizzazione è il processo attraverso il quale persone e centri abitati periferici perdono il loro contatto con i centri avanzati di civiltà. Sia all’inizio che negli ultimi anni del XX secolo, questi processi di accrescimento di modelli arcaici e di barbarismo hanno assunto diverse dimensioni: “quella politica, attraverso la comparsa di regimi autoritari o semi dispotici; quella sociale, attraverso la continua propagazione e rafforzamento di lobbies locali e strutture claniche; e quella civile, attraverso la distruzione delle comuni basi spirituali e istituzionali per l’integrazione di diverse popolazioni, e il rafforzamento dei separatismi etnici”15.
Sembra che le ragioni più profonde dell’ordine mondiale contemporaneo, che si avvicina molto al caos, giacciano nell’iniziale interconnessione paradossale e nella mutua influenza di due matrici ideologiche tra loro opposte, che hanno mantenuto il XX secolo in uno stato bipolare, in un equilibrio molto teso. Questo equilibrio si trovava sempre sull’orlo del conflitto, nonostante i due sistemi in competizione siano riusciti a evitare lo scontro finale. L’aspetto positivo di questa forma di bilanciamento e opposizione, gestita in modo intelligente da entrambe le parti, è che ha garantito decenni di pace e un progresso scientifico – tecnologico ma anche sociopolitico che ha portato a risultati eccellenti (la conquista dello spazio, il programma di disarmo, la politica di non proliferazione, ecc). Un altro elemento imprescindibile di questo ordine mondiale bipolare è stato il cosiddetto Terzo Mondo, che ricevette l’opportunità concreta di modernizzarsi e fu in grado di dichiarare quali fossero i suoi reali interessi dopo secoli di dominio coloniale. Gli interessi della maggioranza di questi paesi e persone, tuttavia, non hanno sostanzialmente nessuna forma di protezione sotto le condizioni imposte dalla globalizzazione unipolare.
Il mondo però non può rimanere sospeso per tempi indefiniti in una condizione di equilibrio precario, carico di tensione per il timore dello scoppio di tensioni e conflitti. Il mondo ha bisogno di un futuro stabile e prevedibile, così come di nuove basi su cui instaurare relazioni a lungo termine basate su interessi pragmatici ma anche su importanti aspirazioni spirituali.
La fine del sistema bipolare, insieme con il collasso di uno dei due sistemi politici, ha condotto inevitabilmente verso una situazione di instabilità dovuta alla perdita di una delle due matrici ideologiche sull’opposizione alla quale l’altra si fondava, perdendo di vista il bersaglio della speculazione politica.
La distruzione dell’ordine mondiale costruito sulla competizione tra i due sistemi ha di fatto trasferito i problemi della comunità mondiale sulla zona di transito delle relazioni tra le civiltà. All’interno di questo ‘spazio’ ogni cosa acquista un valore specifico involutivo e regressivo per l’identità civilizzatrice, espresso nell’emergenza degli slogan arcaici e attraenti di combattere gli “assi del male”, il “fondamentalismo islamico”, la minaccia nucleare iraniana, la soppressione della democrazia in Russia e così via.
Oggi siamo testimoni della distruzione delle illusioni costruite dal mondo unipolare prima ancora che i nostri occhi ne percepiscano gli effetti. In questa situazione è importante per noi comprendere che la transizione verso le nuove realtà del mondo multipolare non avviene da sola: quando le illusioni sono distrutte, il desiderio di preservare l’influenza unipolare sul mondo, resta.
Ci sembra che la via d’uscita dalla fine dell’ideologia della globalizzazione, insieme con la volontà di preservare il reale contenuto dei processi integrativi per lo sviluppo del mondo, debbano essere ricercati, soprattutto, nel riconoscere la priorità del diritto internazionale in un mondo policentrico (multipolare). Il problema della forma in cui questo possa verificarsi può essere risolto solamente attraverso il dialogo. Ma è chiaramente ovvio che il suo fondamento dovrà necessariamente includere il riconoscimento delle peculiarità storiche e culturali attraverso cui le varie civiltà osservano il mondo.
La comprensione reciproca tra le persone e i regimi umanitari e pubblici è particolarmente importante oggi. Stiamo assistendo al completamento di un’epoca di globalizzazione spontanea. Uno dei risultati di quest’epoca è l’emergere del dubbio che esista una sorta di sistema di valori universale e assoluto.
Se parliamo del concetto di democrazia, possiamo notare una generale tendenza alla formazione di regimi democratici che non somigliano, as esempio, a quelli del Nord America. Se parliamo di diritti umani, vale la pena ascoltare l’opinione che l’istituzione di un insieme formale di diritti civili e di libertà a livello nazionale possa servire per implementare il concetto della dignità dell’individuo umano, che coinvolge chiaramente anche la sfera della civiltà. In ogni caso, i diritti umani non dovrebbero essere soppressi o contraddetti dal concetto di dignità umana sul quale una data civiltà è basata e che vive dell’essenza stessa dell’umanità. Nella mia mente, tuttavia, l’esistenza di tutta questa serie di diverse interpretazioni non significa che il mondo sta entrando in una fase di relativismo ideologico. Significa invece che il mondo si sta affacciando in una fase di vero confronto tra diverse civiltà. E dovremmo riconoscerlo e imparare a vivere in questa nuova realtà.
Per concludere vorrei leggervi due citazioni:
Le Nazioni Unite stesse sono state create sulla convinzione che il dialogo possa vincere sulla discordia, che la diversità sia una virtù universale, e che le persone del mondo siano in realtà molto più unite dal comune destino di quanto siano divise dalle loro diverse identità” ha detto il Segretario delle Nazioni Unite Kofi Annan, uno degli iniziatori del dialogo tra le civiltà, nel 2001. “Ciò che questa storia ci dovrebbe insegnare è che nonostante la coesistenza di una moltitudine di diversità culturali esiste invece una sola civiltà globale, basata su valori condivisi di tolleranza e libertà. Si tratta di una civiltà che deve essere definita dalla sua tolleranza nei confronti del dissenso, dalla sua celebrazione della diversità culturale, la sua insistenza sull’importanza dei diritti umani universali e il suo credo nel diritto delle persone, ovunque nel mondo, di dire qualcosa sul modo in cui sono governate. È una civiltà basata sul credo che la diversità delle culture umane sia qualcosa che debba essere celebrata e non temuta. Al contrario, molte guerre si basano sulla paura delle persone nei confronti di chi è diverso da loro. E soltanto attraverso il dialogo è possibile superare queste paure.16
“Lo standard del diritto internazionale non è l’amalgamato di relazioni sociali ed economiche, ma la creazione di un contesto per l’esistenza di esperimenti multipli sociali e politici. Sappiamo oggi che tutta una serie di esperimenti economici e sociali sono stati screditati o messi fuori legge in passato. Dobbiamo creare un nuovo ordine che definisca in maniera inequivocabile questa molteplicità” ha dichiarato Alfred Gusenbauer, l’ex cancelliere austriaco, nel suo discorso al World Ppublic Forum del 9 settembre 201017.
Secondo noi soltanto un esteso movimento pubblico potrà fare progressi concreti verso l’obiettivo di estendere il dominio del dialogo e trasformalo in un processo internazionale a tutti gli effetti.
(Traduzione dall’inglese di Matteo Finotto).