IL DILEMMA ovvero SUL CIBO

Da Vale
Cara Homemademamma oggi parlo di cibo o meglio, del dilemma del cibo.
IL DILEMMA DELL'ONNIVOROdi Michael Pollan

Il un lontano pomeriggio di pioggia, io e K. siamo andati in una grande libreria milanese. Senza figli (che allora erano due e uno in arrivo). E abbiamo sbancato. Tra i molti titoli presi, ci siamo concessi due saggi sul cibo che ben rispecchiano il nostro approccio al problema. Lui ha preso il libro di J.S. Foer  Se niente importa. E io ho preso il Dilemma. Che inizia più o meno così:
La più naturale delle attività umane, scegliere cosa mangiare, è diventata in qualche modo un'impresa che richiede un notevole aiuto da parte degli esperti.
In effetti, è pazzesco. Mi ero detta.
Noi, come il topo, siamo onnivori. Ma al contrario del topo che mangia ciò che gli capita indistintamente, noi possiamo scegliere (ommamma, a ben pensarci conosco qualcuno che mangia indistintamente tutto ciò che gli si mette nel piatto, e non è un topo...). Da questa asserzione parte il lungo ragionamento.
I motivi per cui mi è piaciuto questo libro sono innumerevoli:
  1. E' scritto da uno statunitense, quindi molto chiaramente. In modo semplice ed esaustivo.
  2. Parte da un'analisi della pianta del mais (praticamente tutto ciò che ci circonda è fatto di mais....), fino ad arrivare a narrare di un pranzo da MacD, per poi raccontare una battuta di caccia al cinghiale. Senza pregiudizi e preconcetti, analizza tutte le forme del fagogitamento umano. La mancanza di pregiudizi non è europea. A loro viene meglio!
  3. Il Bio. Lo analizza in modo sublime. Dal bio del super, fino al bio della cascina sperduta e indica anche quale sarà la strada futura (non dimentichiamo che il movimento dell'organic nasce in California nei primi anni settanta).
  4. La carne. Dedica molto spazio al problema: essere o non essere vegetariani?  E racconta benissimo il travaglio nel rispondere a una domanda così difficile. Le sue conclusioni sono affini alle mie e né io né lui (al contrario di K.) siamo vegetariani. La cultura da super ha tolto alla carne il suo elemento sostanziale, la sua "carnalità": quando vediamo un petto di pollo incelofanato o una bistecca nella ciotolina di polistirolo non ci ricordiamo del sangue, dell'odore, del fatto che quello è un pezzo di un animale. Questo fattore ci ha indotto a consumare più carne eliminando a livello culturale tutto l'orrido che c'è nell'uccisione e nella preparazione di quel succulento pezzettino rosa. Lui dice: andiamo dal contadino, guardiamo l'animale, facciamolo uccidere e allora il profilo culturale cambia, la prospettiva diviene diversa. Non nei mattatoi, dove gli orrori sono evidenti. Prendiamo la carne dal cugino della nonna che vive in campagna. Mangiamone poca. Riconciliamoci nei confronti di un mondo, quello contadino, che prevede l'uccisione dell'animale per la propria sopravvivenza.
Lo so che è una tesi forte. Ma io la condivido. Per me un piatto di carne è un fatto anche culturale.


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