di Pierluigi Montalbano
E’ un leggendario cataclisma in seguito al quale il mondo viene sommerso dalle acque. Troviamo riferimenti a questo evento in molte tradizioni mitiche nell’Oriente antico, nel mondo classico (mito di Deucalione e Pirra) e in altre civiltà. I due racconti più significativi sono: il mito di Utnapishtim, contenuto nel poema babilonese di Gilgamesh, e il racconto biblico di Noè.
Gilgamesh è un eroe dell’epica mesopotamica, quinto re della 1ª dinastia di Uruk, secondo la Lista reale sumerica. Figlio della dea Ninsun e del re di Uruk Lugalbanda, è descritto nella letteratura sumerica del periodo di Ur III (fine del III millennio), ma è già ricordato come dio nell’onomastica di Fara (metà del III millennio). È il protagonista di cinque composizioni epiche e di un poema in accadico, di cui sono conservati anche scritti in lingua ittita e urrita.
Il testo narra la profonda amicizia tra Gilgamesh e Enkidu, eroe suo pari. Questi era stato creato da Anu per punire Gilgamesh della tirannide esercitata in Uruk. I due eroi lottano ed Enkidu riesce a vincere. Poi diventano grandi amici e compiono una serie di gesta eroiche, tra le quali l’uccisione di Khumbaba. Ma ciò provoca la punizione di Enkidu, che muore per volontà degli dei. Gilgamesh è disperato e cerca un mezzo per riportarlo in vita. Utnapishtim, l’immortale eroe del diluvio universale, non può aiutarlo perché gli dei hanno riservato per sé stessi la vita eterna, Gilgamesh allora richiama in vita la figura del suo amico dagli inferi e il poema si chiude con la descrizione dell’oltretomba.
Utnapishtim (Ziusuddu per i sumeri), su suggerimento del dio Ea, costruisce l’arca che lo salverà, con la famiglia e vari animali, dal diluvio deciso dagli dei per punire il genere umano. Dopo 6 giorni e 6 notti di navigazione, l’arca si ferma sul monte Nisir dove dopo aver fatto uscire una colomba, una rondine e un corvo, Utnapishtim scende dalla barca e offre sul monte un sacrificio agli dei, che mostrano di gradirlo. Andò poi ad abitare in un’isola alla foce del Tigri e dell’Eufrate, e qui venne a visitarlo Gilgamesh, per chiedergli come gli era stata concessa l’immortalità.
Nella Bibbia Noè, decimo patriarca, figlio di Lamech, accoglie nell’arca sua moglie, i tre figli e due coppie di ogni specie animale e naviga per più di 10 mesi. Invia una prima colomba che rientra, poi una seconda che non torna e, subito dopo, l’arca si arena sul monte Ararat. Tutti scendono e Noè dedica un sacrificio a Dio.
Dopo il diluvio, Noè visse per altri 350 anni fino all’età di 950, con i figli, Sem, Cam e Iafet, da cui la tavola genealogica fa discendere tutti i popoli della terra. Si dedica all’agricoltura piantando la vite. Con il vino si ubriacò e fu trovato disteso nudo dal figlio Cam che lo derise e chiamò i fratelli. Questi, coprirono pietosamente il padre con un mantello e per questo il primogenito Sem e Iafet furono benedetti, mentre Canaan, discendente di Cam, fu condannato a essere schiavo.
L'opinione che dalla Bibbia si possa risalire al tempo del Diluvio è dei Creazionisti, che, leggendo la Bibbia letteralmente, pongono la data nel 2348 a.C. poichè Abramo, vissuto nel 2000 a.C., secondo la Bibbia sarebbe nato 292 anni dopo il diluvio. A partire dall’Ottocento la scienza si distacca dalle credenze della Bibbia e i fautori dell'ortodossia religiosa cercano, senza riuscirci, prove che possano confermare quanto decritto dalla tradizione. Il metodo scientifico richiede prove ed esperimenti, così la tesi che il Diluvio fosse solo un mito prese sempre più piede negli ambienti scientifici, mentre la cultura popolare rimase fedele alle narrazioni legate alla propria fede religiosa. L'ipotesi che ha avuto maggiori sostenitori nel XX secolo è quella secondo cui il mito del Diluvio si riferisce a un'alluvione preistorica nell'area mesopotamica, quando il clima di quella zona era molto più umido e con maggiori flussi fluviali. Si ipotizza che l'area dove fiorirono le prime culture neolitiche fu interessata da un'imponente alluvione con un effetto devastante sulla popolazione che viveva in prossimità dei fiumi. Solo chi già disponeva di imbarcazioni in grado di trasportare provviste ebbe la possibilità di salvarsi.
L'evento eccezionale, tramandato dai sopravvissuti, è stato poi ingigantito e mitizzato nella struttura di credenze delle culture successive.
Un’indagine svolta da americani e russi nel Mar Nero dal 1993, ha rilevato un’antica linea di costa seppellita dal fango, con scambio di acqua dolce e salata (intorno al 5600 a.C.) che prova la connessione del Mar di Marmara con il Mar Nero attraverso il Bosforo. La loro teoria si basa su una serie di viaggi andata e ritorno di acqua e sul modificarsi del livello del mare, alla fine delle ere glaciali:
Precedentemente il Mar Nero era un grande lago d'acqua dolce 200 m sotto il livello del mare, isolato dal Mediterraneo attraverso la soglia del Bosforo. I popoli primitivi s’insediano sulle sue rive dando vita alle prime civiltà agricole. Poi il Mediterraneo aumenta progressivamente il livello e, quando supera la soglia del Bosforo, provoca una catastrofe riversando nel Mar Nero l'acqua in una grande cascata. Il livello del Mar Nero nel giro di pochi anni si sollevò di 150 metri inondando più di 100 000 km² di terreno e causando una diminuzione della popolazione. Questa ipotesi è ora supportata da una serie di altri dati come tracce del livello del mare in un canyon alla destra del Bosforo, sensibili anomalie nella distribuzione di strati di acqua, tracce di sedimenti fossili al di sotto del livello attuale del mare…
Si può anche pensare a un evento sismico che causò una falla nel Nord dell'Anatolia nella zona della Marmara e Dardanelli, una regione da sempre colpita da fortissimi terremoti.
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