Hector Cross è fatto della materia di cui son fatti gli incubi: acciaio (nei muscoli), granito (la volontà), fuoco (il temperamento) e una spruzzata di cielo (l’azzurro degli occhi). Gli incubi dei cattivi, naturalmente, perché i buoni possono solo sognare di avere un tipaccio del genere come amico.
Heck è il tipico protagonista di un romanzo di Wilbur Smith, insomma, e in quest’ultimo La legge del deserto, Smith gliene combinerà di tutti i colori, dando modo a questo mercenario sui generis di mettere in mostra tutte le sue doti… più un piccolo margine di fallibilità, appena quel che serve a renderlo umano, e più simpatico al lettore.
Accanto a lui, un partner femminile all’altezza della situazione: Hazel Bannock, giovane vedova di un magnate del petrolio e maggiore azionista della Bannock Oil, fiorente compagnia petrolifera che amministra con pugno di ferro e brillante senso degli affari.
Fra la sexy, volitiva Hazel e il tostissimo Hector, responsabile della sicurezza della principale concessione estrattiva della compagnia, sono subito scintille. I due si pizzicano e si beccano in continuazione; è un braccio di ferro che finisce spesso in parità, ma che si intuisce essere una schermaglia fra due persone che si attraggono come la limatura di ferro e la calamita.
Ma Cayla, la giovane figlia di Hazel, viene rapita da un gruppo di terroristi islamici con base nel Puntland somalo: a Hector e alla sua squadra toccherà l’improba fatica di riportare Cay a casa e sradicare quella pustola di fanatismo dal profilo mistico e senza tempo delle dune del deserto.
La legge del deserto è un frutto maturo dell’officina di Wilbur che – padrone del suo gioco – conduce con mano sicura e ritmo serrato la storia, fra ambientazioni esotiche e colpi di scena. Il libro offre al lettore esattamente quel che promette: un plot oliato e veloce come un ottovolante, personaggi scolpiti con l’accetta che si trovano a loro agio soprattutto quando le pallottole fischiano sopra le loro teste.
Non c’è tempo per tratteggiare in chiaroscuro delicate psicologie, quel che conta è l’azione. È l’azione che permette di dispiegare efficacemente sulla tela l’eterno conflitto fra bene e male, una contrapposizione netta che – in tempi complessi come quelli in cui viviamo – ha l’effetto di rassicurarci e ci permette di lasciarci andare al puro piacere dell’intrattenimento.
Buona lettura
Alessandra