Il diritto d’autore, da Manzoni al web

Creato il 28 ottobre 2013 da Rita Charbonnier @ritacharbonnier

Un commento a questo post, nel quale si sostiene la liceità della pirateria digitale perché “un libro è un’entità tangibile, gli puoi attribuire un concetto di proprietà” mentre “un ebook come qualsiasi file in internet è più vicino a un’idea”, e le idee sarebbero di tutti, mi ha fatto provare il desiderio di chiedere un chiarimento a un esperto.


Geo Magri per Non solo Mozart

“Warholizzazione” di un ritratto di Alessandro Manzoni
ottenuta con questo strumento

Quando la cultura ha cominciato a diffondersi in tutte le classi e a non essere più retaggio di pochi privilegiati, gli ordinamenti hanno avvertito l’esigenza di tutelare chi la cultura la produceva. Ecco perché, a differenza di molti altri diritti, il diritto d’autore (o copyright, come talvolta viene un po’ impropriamente definito) ha una storia piuttosto recente, che generalmente si fa risalire allo Statuto di Anna, nell’Inghilterra del XVIII secolo, e che poi si è sviluppata nell’Europa continentale attraverso gli ideali della rivoluzione francese.

Il dibattito sul diritto d’autore non ha interessato soltanto i giuristi; grandi filosofi si sono occupati della questione in modo approfondito e, tra i padri illustri delle società che i diritti d’autore gestiscono (la SIAE, per intenderci), figurano artisti come Verdi o Manzoni.
Proprio Alessandro Manzoni, con I Promessi Sposi, scrisse non soltanto una pagina della letteratura italiana, ma anche un intero capitolo della storia del nostro diritto d’autore. Il processo Manzoni c. Le Monnier – volto ad impedire che I Promessi Sposi venissero stampati, in edizione precedente alla sciacquatura dei panni in Arno e contro la volontà dell’autore – è rimasto un vero e proprio leading case per gli studiosi della materia e, come vedremo, è ancora attuale.

Perché il diritto d’autore è importante?

 

Un ipotetico nemico del copyright potrebbe domandarci: se l’uomo, sino ad epoca relativamente recente, è vissuto senza diritto d’autore, perché oggi dovrebbe considerare tale diritto irrinunciabile?
La domanda è legittima e ha una risposta articolata con risvolti di carattere morale e patrimoniale. Innanzitutto, il diritto d’autore è protetto perché si ritiene, forse un po’ utopisticamente, che chi crea debba poter trarre sostentamento da ciò che produce. Da un certo momento in poi, i legislatori hanno ritenuto che, esattamente come avviene con il falegname, che viene retribuito per il mobile fabbricato, anche l’autore debba trarre un reddito da ciò che scrive.
Il copyright, offrendo un reddito, doveva favorire la crescita e lo sviluppo culturale: con la tutela patrimoniale del diritto d’autore gli autori non avrebbero più avuto bisogno di un mecenate da compiacere, ma, grazie al loro pubblico, avrebbero goduto di maggiore libertà creativa.

Immagine di Ivan Walsh

Una seconda motivazione a favore del diritto d’autore è di natura morale. Chi crea un’opera ha diritto non solo a trarne profitto, ma anche ad esserne riconosciuto come padre (“proprietario”). Per questo motivo il diritto d’autore è stato avvicinato al diritto di proprietà, diritto che la tradizione illuminista annovera tra i diritti fondamentali dell’uomo (si veda l’art. 2 della celebre Déclaration des Droits de l’Homme et du Citoyen de 1789).

Facciamo un passo in più: essendo l’opera dell’ingegno frutto del lavoro della mente ed espressione della personalità dell’individuo che la crea, il diritto morale dell’autore diventa un vero e proprio diritto della personalità, cioè un diritto che contraddistingue l’individuo. Esattamente come avviene con il diritto al nome, all’immagine o alla riservatezza.
Mentre il diritto patrimoniale d’autore, ossia il diritto di ricavare denaro dal proprio intelletto, può essere ceduto a terzi (ad esempio attraverso un contratto di edizione), il diritto morale d’autore, come tutti i diritti della personalità, è indisponibile e non è soggetto a termini di prescrizione.

Al giorno d’oggi le idee “sono di tutti”?

 

Oggi il tema del copyright è tornato di particolare attualità con riferimento alla rete internet e ai nuovi utilizzi del materiale protetto che essa consente. Sempre più spesso si sentono voci che vorrebbero rendere la rete una sorta di “bene comune”, in cui tutto deve essere libero ed accessibile, come se le idee fossero di tutti e di nessuno.

A questo proposito suonano di estrema attualità le parole che il Prof. Boccardo scrisse in un parere sulla rivista l’Avvertenza, nel quale, nell’affaire Manzoni – Le Monnier, prendeva le difese dell’editore:

Manzoni stampa, nel 1827, i Promessi Sposi… si fanno a diecine, a centinaia le edizioni del più bel racconto che vanti la patria letteratura. Nessuno si oppone. Manzoni si adatta a questa invidiabile persecuzione di un popolo intero ostinato a leggerlo e ad ammirarlo. Il libro, quale primieramente uscì dal suo genio immortale, è fatto patrimonio comune… Manzoni, nel 1845, crede d’accorgersi che il suo libro ha mille difetti di lingua, sebbene l’Italia, rispettando quella del venerando scrittore, porti ben diversa opinione. Egli fa una nuova edizione, in cui agli originali lombardismi sostituisce forme e modi raccolti sulle rive dell’Arno. Ecco un nuovo libro: il primo era divenuto da tanti anni proprietà dell’Italia, del secondo è solo padrone, finché viva, l’autore.
Felice Le Monnier, consapevole che l’Italia continua a considerare come un tesoro quel primitivo libro che Manzoni ripudia, ne esegue una ristampa sopra un’edizione del 1832, nè si crede punto in debito di domandarne l’assenso all’autore, perché quella edizione era da tanti anni passata nel dominio del pubblico…”.

Ecco che Boccardo tira fuori, con un secolo e mezzo di anticipo, quella che oggi in molti vedono come una grande innovazione della rete: ciò che sta in rete deve essere “patrimonio comune” di tutti quelli che alla rete hanno accesso.

Alla base delle motivazioni che spinsero Manzoni a fare causa non c’erano soltanto delle legittime richieste economiche. Egli lamentava il fatto che Le Monnier, ristampando una versione del suo romanzo, che lui riteneva superata e non più adeguata, lo aveva privato del controllo e della paternità della sua opera. In sostanza, si era impossessato di una sua idea e continuava a mantenere in vita una cosa che egli ripudiava. Il 20 dicembre 1862 la Cassazione di Firenze archiviò la tesi dei Promessi Sposi bene comune e diede ragione a Manzoni.

La rete Internet: “bene comune”?

 

Il rischio corso da Manzoni, in qualche misura, è lo stesso rischio che corre chi, oggi, mette un proprio elaborato in rete, specie se dovesse accreditarsi la tesi per cui tutto ciò che è in rete diventa patrimonio comune, senza che l’autore possa mantenere una paternità delle proprie idee ed un controllo sulla loro diffusione.

Immagine di Activeside

La rete bene comune pare sicuramente un pregio se contribuisce a diffondere cultura e informazione, mi pare che diventi un rischio se porta l’orologio indietro di tre secoli e cancella il diritto dell’autore sulla propria idea e alla propria identità.
Il rischio indissolubilmente legato a questa idea è che gli autori che hanno qualcosa da dire fuggano dalla rete per il timore che, qualunque cosa dicano, diventi un bene liberamente appropriabile e modificabile e che nella rete ci restino solo quelli che da dire non hanno niente o che, fuori dalla rete, nessuno ascolterebbe. E ciò, si badi bene, anche a prescindere da una questione meramente patrimoniale.

Che la preoccupazione di difendere interessi di carattere patrimoniale sia soltanto uno degli aspetti della questione è confermato dall’esperienza Creative Commons, che consente la condivisione gratuita, con alcune limitazioni, di quelle che sarebbe opere tradizionalmente protette dal copyright. Tale tipo di licenza, nata soprattutto con l’idea di facilitare la condivisione e la diffusione della ricerca scientifica (ad esempio, il Cern di Ginevra pubblica tutte le foto relative alle ricerche con licenza Creative Commons) si sta diffondendo anche in altri contesti.

Creative Commons dimostra che chi difende il diritto dell’autore sulla propria idea, può essere mosso anche soltanto dal desiderio di garantire e tutelare un diritto fondamentale dell’autore: quello alla propria personalità e non necessariamente dalla volontà di lucrare o impedire la circolazione della cultura.

Uno slogan, spesso abusato, dice che le idee sono di tutti. A me sembrerebbe più corretto dire che le idee sono di chi le ha e tutti le possono usare.

Articolo di Geo Magri


Laureato in Giurisprudenza a Torino, dove ha anche svolto il dottorato di ricerca con una tesi in materia di acquisto a non domino e beni culturali, Geo Magri ha esercitato la professione legale fino al 2010. Si è trasferito quindi in Germania, per dedicarsi unicamente alla ricerca. Attualmente lavora a un progetto dedicato ai diritti reali in Europa presso lo European Legal Studies Institute di Osnabrück.


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