Quanto è diventato difficile, in questi anni di crisi, sperare in una risposta dopo aver inviato centinaia di curriculum! L'agognata intervista faccia-a-faccia con il selezionatore è già per molti candidati una prima vittoria. Che può tuttavia diventare molto amara nel caso in cui ci si trovi a dover rispondere ad alcune domande “scomode”.
Per la rubrica «Il diritto dei disoccupati», vediamo oggi il problema delle domande non lecite durante i colloqui di lavoro, anche per comprendere come ottenere un risarcimento danni, ovvero un risarcimento economico, da chi abusa e discrimina.
Capitolo III: le domande illecite in sede di colloquio di lavoro
Diversa cosa è invece chiedere: “Lei tra 5 anni si vede con una famiglia?” Questa è la tipica domanda che viene rivolta alle donne, per ovvi motivi. Ed è una domanda nassolutamente non lecita, in fase di colloquio: è una discriminazione a tutti gli effetti. Fare questo genere di domanda è come chiedere ad una persona se intende sposarsi e/o avere figli, aumentando dunque i propri carichi famigliari. Aumentare i carichi famigliari può implicare meno disponibilità sul luogo di lavoro. E, per il datore di lavoro, costi da sostenere.
“Lei pratica sport/ha hobby?” Anche questa domanda ha lo scopo di valutare l'attitudine lavorativa di un candidato: se è ad esempio abituato a fare sport di gruppo, e quindi a lavorare in squadra anche fuori dall'ufficio, o se invece preferisce gli sport solitari, come il tennis o il golf. Se è una persona che ha interessi extra-professionali, potrebbe avere curiosità, apertura mentale, e proattività tra le sue skill.
Ma tutt'altra cosa è domandare: "Che Chiesa frequenta?" o "È iscritto ad un sindacato?". Sondare l'orientamento politico, religioso o sessuale di una persona in fase di colloquio è discriminante: cosa c'entrano questi orientamenti con la professionalità di una persona? Secondo lo Statuto dei Lavoratori e secondo la Legge sulla Privacy, il datore che indaga dove non dovrebbe commette non solo una scorrettezza, ma un vero e proprio illecito penale: un reato.
Reagire alle discriminazioni
Se ci si imbatte in una delle spiacevoli situazioni descritte sopra, il consiglio domandare come tale informazioni possano influire sulla propria professionalità, con la consapevolezza, però, che il datore di lavoro che pone certe domande non può essere un datore di lavoro affidabile.
Bisogna ricordare che la legge dà una fortissima tutela chi subisce discriminazione in sede di colloquio, prevedendo che la persona si possa rivolgere o alle organizzazioni sindacali o ai Consiglieri di parità regionali o provinciali. Qualora si dimostri l'effettiva violazione, il giudice, oltre a multare il datore di lavoro che compie discriminazioni, potrà disporre che il datore risarcisca il danno, anche non patrimoniale, al lavoratore.
Per approfondire:
- Art. 27 D. Lgs. 198/2006 Divieto di discriminazione in sede di colloquio di lavoro;
- Art. 38 D. Lgs. 198/2006 Risarcimento in caso di discriminazione in sede di colloquio di lavoro.
- Art. 8 Statuto dei Lavoratori e Artt. 113 e 171 Legge sulla Privacy
Carlotta Piovesan