I rapporti tra confinanti, si sa, sono spesso difficili quando non diventano litigiosi. E i motivi di litigio possono essere i più svariati, quali, ad esempio, degli alberi che, cresciuti in altezza sopra un fondo, finiscono con l’ostacolare la visuale panoramica del fondo vicino. Può quest’ultimo invocare il proprio diritto “al panorama” e chiedere un intervento sugli alberi cresciuti?
Di questo tema si è occupata la Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione (sent. n. 2973/2012) in un giudizio promosso in terzo grado da alcuni proprietari che nei primi due gradi di giudizio erano stati condannati alla cimatura periodica di un cedro e una betulla divenuti così alti e frondosi da arrecare pregiudizio al diritto di veduta ed alla salubrità di alcuni vicini a causa della caduta di spore e fogliame sul loro terrazzo. I ricorrenti hanno sostenuto che un simile obbligo di cimatura non sarebbe altro che una servitù prediale negativa (cd. altius non tollendi, di non costruire troppo in alto) e come tale va costituita e dimostrata.
La Corte, su questo specifico punto, ha accolto il ricorso. I supremi giudici hanno rilevato che i giudici di merito hanno riconosciuto un diritto di veduta che integra una servitù altius non tollendi, indicandone la fonte nella preesistenza della visuale all’acquisto dell’immobile.
Così facendo però, è stato violato il principio della tipicità dei modi di acquisto dei diritti reali – tra cui quelli ottenibili con le servitù – dato che “una servitù «altius non tollendi» può essere costituita oltre che negozialmente anche per destinazione del padre di famiglia od usucapione, ma tali modi di costituzione necessitano, non solo, a seconda dei casi, della destinazione conferita dall’originario unico proprietario o dell’esercizio ultraventennale di attività corrispondenti alla servitù, ma anche di opere visibili e permanenti, ulteriori rispetto a quelle che consentono la veduta”.