In questo suo ultimo libro Il disagio della libertà, Corrado Augias non dice precisamente la stessa cosa anche se ci va molto vicino.
Il concetto che esprime con questa ricerca è sostanzialmente il fatto che noi Italiani non siamo poi così interessati alla libertà vera e propria.
Attraverso una lunga serie di esempi presi sia dalla stretta attualità sia dal passato, mette in luce quei comportamenti che hanno come scopo l’opportunismo personale oppure l’accondiscendenza verso il proprio capo o superiore che sia.
Quei casi cioè dove a volte si sfiora anche il ridicolo pur di fare contento il potente di turno.
Sembra fin troppo facile puntare il dito verso il gruppo di parlamentari che qualche mese fa, per salvare il premier Berlusconi, dichiararono di essere convinti che la famosa Ruby fosse veramente la nipote di Mubarak.
Infatti non è questo il punto, la cosa viene citata come semplice esempio di rinuncia della libertà individuale ( quanti saranno stati veramente convinti di ciò che hanno votato? ) a favore di un “bene più alto”, mettiamola così.
In realtà Augias parla della gente normale e non dei nostri governanti; parla della mentalità italiana secondo la quale dietro qualsiasi cosa ci deve essere un tornaconto personale non dichiarato.
Come si può pretendere che i posti di potere siano occupati da persone di alto valore morale se poi nel nostro piccolo siamo i primi a non rispettare le regole?
Si passa con il semaforo rosso perché tanto non arriva nessuno e quindi cosa stiamo qui ad aspettare cosa?
Si parcheggia in divieto di sosta, tanto sono solo due minuti, giusto il tempo di prendere il pane o fare colazione…e poi che sarà mai una macchina lì ferma per qualche secondo?
Ci si mette nel posto di prima classe sul treno anche se si ha il biglietto di seconda…poi se non si può stare quando arriva il controllore ci si sposta.
Non si paga il canone tv perché i programmi fanno schifo.
Si paga in nero l’artigiano o il professionista di turno perché altrimenti finisce che gli paghiamo noi le tasse e poi è una cifra che in confronto al nero che fanno certe aziende è poca cosa.
Ma cosa vuoi paragonare uno che ruba una mela con uno che ruba i miliardi? mi viene risposto quando discuto con qualcuno che si lamenta dei mali dell’Italia.
Insomma, mai una volta che qualcuno dica che non segue una qualche regola perché a lui fa comodo, almeno in piccola parte.
Un dibattito su questi argomenti non è propriamente lo scopo di questo articolo, per cui abbandoniamo le polemiche e torniamo al libro in questione.
Ne Il disagio della libertà, l’autore scrive che esistono due libertà ben distinte tra loro: la libertà degli schiavi e la libertà degli uomini.
Nel nostro Paese vige a larghissima maggioranza la libertà degli schiavi, o dei servi chi dir si voglia.
Quella libertà cioè, per la quale il padrone di turno lascia fare ai propri servi tante cose, tante ma non tutte:
lascia che si divertano con cose futili, lascia che si rovinino al gioco, lascia che litighino tra di loro, lascia che si azzuffino, lascia credere che il mondo sia quello che loro vedono tutti i giorni…
Insomma, lascia liberi i propri servi di fare tutto ciò che egli non ritiene dannoso per i propri interessi, per cui poca cultura, poco coinvolgimento nella vita politica e nelle decisioni che contano, ma una spinta profonda verso la leggerezza, perché già sono tante le cose brutte che ci circondano a allora che almeno si rida un pochettino…
Non a caso Augias ricorda come l’Italia sia uno dei pochi paesi, se non l’unico tra gli occidentali, dove non ci sia mai stata una rivoluzione.
Sommosse sì, proteste sì, scontri sì, ma rivoluzioni mai; le rivoluzioni non hanno lo scopo di protestare e fare casino, hanno lo scopo di ribaltare e rimuovere i governanti dai posti di potere.
Da noi non è mai accaduto e questo Augias lo spiega con una lunga escursione nelle tradizioni che si tramandano da secoli e che sono valide ancora oggi.
Di una parte importante di queste colpe si dovrebbe fare carico la Chiesa con il suo concetto di famiglia, poi ripreso tale e quale anche nella società civile.
La famiglia come entità chiusa da proteggere a tutti i costi e la figura della madre così portata verso la difesa di situazioni che poi possono anche rivelarsi un problema:
L’atteggiamento della madre italiana pone spesso le premesse di un’educazione molto emotiva.
Ne escono bambini in seguito uomini, piuttosto inclini a contare sulla comprensione e sul perdono per le loro mancanze.
Sostanzialmente Augias dice che la madre spende tutto il proprio tempo a proteggere i figli da tutto ciò che è oltre la porta di casa, ma così facendo contribuisce alla crescita di individui abituati ad avere qualcuno che toglie loro le castagne dal fuoco.
La frase non ho tempo per occuparmi di queste cose, ho cose più importanti da fare, è uno dei mali della nostra società.
La madre proteggendo il figliolo da tutto quello che lo circonda nella vita quotidiana, in realtà non si accorge che a causa del suo non occuparsi di politica, non influisce in nessun modo proprio sulla vita futura del figlio stesso.
In sostanza, mentre la mamma fa le carezze al figlio e litiga con i suoi professori pensando di proteggerlo dai mali del mondo, in realtà non occupandosi di politica perché ha cose più importanti da fare, non si rende conto di lasciare che siano altri a decidere del suo destino, di come sarà la sua vita una volta uscito di casa.
In altri Paesi le cose vanno diversamente, i figli escono di casa ben prima e si preparano di persona ad affrontare il mondo, da noi fa comodo rimanere con le comodità della famiglia.
In altri ambienti si matura prima.
E’ un problema di mentalità, non di denaro.
Da noi con il primo stipendio una volta ci si comprava lo stereo, oggi lo smartphone o le scarpe di marca; in tanti altri posti si utilizza quel denaro per trovarsi un appartamento e andarci a vivere magari dividendo le spese con un paio di co-inquilini: un’altra realtà.
Il nostro individualismo è una qualità male espressa, è più rivolto al personale, a se stessi che al confronto con gli altri.
E’ proprio a causa di questo modo di porsi che si assiste a discussioni sulla vita reale ( politica, economia, lavoro, ecc.. ) che sembrano quelle classiche del dopo partita di calcio.
Solo che in questi casi sembrano tutti della stessa squadra perché il coro ladri ladri alla fine è quasi unanime, salvo poi non fare nulla per cambiare le cose.
Ci si lamenta tanto e poi, da un lato si dice di avere cose più importanti da fare e quindi non si fa nulla per tentare di cambiare la situazione, dall’altro nel proprio piccolo se torna comodo non si rispettano le regole.
E’ quella doppia morale per la quale tanti trovano giustificazioni per le piccole trasgressioni quotidiane e poi si incazzano per le grandi trasgressioni degli altri.
Non che io speri in un mondo perfetto, ma perlomeno faccio notare che le due cose non vanno d’accordo:
non è detto che tutti debbano seguire le regole, le sanzioni per i trasgressori esistono proprio per quello,
ma condizione necessaria per potersi lamentare del comportamento degli altri, dovrebbe essere il rispetto delle regole in prima persona.
Quindi, primo: si può fare ciò che si vuole se si è pronti ad assumersi la responsabilità delle proprie azioni, secondo: se ci si vuole lamentare bisogna essere tra quelli che rispettano TUTTE le regole, non solo alcune.
Ecco allora che nelle pagine di questo libro e per tutta la storia in esso raccontata, l’invito verso gli Italiani ad esprimersi, ad agire, a dimostrare un po’ di carattere, a reclamare i propri diritti, anche a contestare i propri governanti se occorre, qualunque sia il livello di governo in questione, locale o centrale… insomma: a darsi una svegliata, partecipare alla vita sociale e politica e smetterla di essere allo stesso tempo lamentosi ed opportunisti, questo invito diventa sempre meno un invito e sempre più un ultimatum.
Un libro che si presta a letture condivise per avere poi tanti momenti di discussione perché affronta il problema di fondo da un punto di vista particolare.
Se letto in maniera superficiale fa solamente venire una grande rabbia.
Se invece ci si trova a dibatterne, allora i casi possono essere due:
o si fa una bella analisi e si riesce ad entrare nell’ottica necessaria per stralciarne le varie parti per poi affrontarle una ad una,
oppure non si coglie né lo spirito giusto, né le opportunità di discussione che potrebbe portare e allora ci si arrabbia ancor di più.
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