Casa. Di solito ce n’è solo una, come la mamma. No, non parlo di un edificio particolare, di una villa o di un appartamento; intendo dire quelle case che di solito disegnano i bambini già da piccolissimi, col tetto rosso a forma di triangolo, una porticina al centro e due finestrelle poco sopra. I più meticolosi disegnano la cassetta della posta, e anche un gradino. Questa è la casa di cui parlo.
Molti, per studio o per lavoro, decidono di andare a vivere in un’altra città, per necessità o semplicemente per curiosità. Spesso è naturale decidere di partire, altre volte sembra un obbligo, altre volte ancora un modo per mettersi alla prova. Ma quel disegno di casa lo si porterà sempre dentro, il disegno perfetto di un’atmosfera che ti dà sicurezza e ti tiene aggrappato a quell’idea di casa che si ha da piccoli.
Chi parte, soprattutto da giovane, per un bel lasso di tempo vive sospeso tra una residenza, venti domicili e diversi recapiti. Ogni vacanza e ogni giorno di festa sono le occasioni giuste per tornare, ché ritornare a casa è sempre una festa. Così come ripartire: «Quando?» «Ancora non so. Prima o poi.».
E quando sei giovane non si riesce mai a capire se casa è una scusa per tornare o casa è una scusa per partire.