Il disorientamento strategico dei militari USA: dibattito a West Point

Creato il 01 luglio 2012 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR

Il New York Times ha portato alla luce la discussione strategica che si sta svolgendo nell’Accademia Militare degli Stati Uniti, da cui trapela un disorientamento strategico presso il più grande potere bellico della storia mondiale, e che permette a noi latinoamericani di arrivare ad importanti conclusioni. In termini stretti quello di cui si discute è l’efficacia della strategia contro-insurrezionale in Afghanistan e in Iraq. E, in generale, la discussione conduce ad interrogarsi su “cosa hanno guadagnato gli Stati Uniti dopo dieci anni e due guerre” ( the New York Times. Supplemento nel quotidiano Clarin. BsAs. 2 giugno 2012.pag. 5).

Partendo dalla premessa di Clausewitz che la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi, il dibattito e il disorientamento strategico dell’esercito più importante a livello globale erano inevitabili in un mondo che cambia. Qui, come nel campo della strategia politica, si ripropone, nonostante (o forse proprio per) i falchi militaristi nordamericani – che hanno visto fallire la proiezione di un Impero militare globale ma che allo stesso tempo non rinunciano ai loro obiettivi – la risposta della scuola realista classica, come Kissinger che riprende l’idea di un mondo con equilibrio di potenza in un G2 con U.S.A-Cina, o Richard Haass, che ci parla di un’era di non polarità, o Zakaria, di un mondo postamericano. In verità tale impostazione riflette la discussione sulla posizione che avranno gli Stati Uniti in un sistema mondo multipolare, dove gli Stati continentali industriali saranno gli unici attori con capacità di autonomia e dove gli Stati Uniti dovranno condividere il sistema multipolare con Cina, Russia, India, Europa e, forse, Sudamerica, che si profila come un pretendente nella misura in cui l’UNASUR andrà a consolidarsi.

Indipendentemente da questo dibattito politico-accademico sulla politica estera degli Stati Uniti, il Presidente Obama ha accentuato la politica militaristica degli U.S.A rispetto a Bush figlio, lanciando attacchi antiterroristici contro Al Qaeda e le sue ramificazioni in Pakistan e Yemen con lo scopo di assassinare selettivamente i suoi dirigenti. E’ un’azione inaspettata da un Premio Nobel per la Pace.

Alti funzionari degli Stati Uniti hanno informato il New York Times che il Presidente Obama firma e autorizza personalmente tutti gli attacchi che si realizzano. L’attenzione con cui Obama e il suo Capo dell’antiterrorismo scelgono i loro obiettivi, ha reso noto il Times, e la sua fiducia in un arma di precisione come i droni telecomandati, sono lo specchio di un compromesso assunto all’inizio della sua presidenza volto a respingere quella che considerava una falsa opzione dell’amministrazione Bush, che contrapponeva la sicurezza agli ideali. Il “successo” di Obama nell’aver limitato il numero di vittime civili negli attacchi telecomandati si deve, in parte, “a un controverso meccanismo per contare le perdite civili” che utilizza il governo della Casa Bianca. Secondo il quotidiano, per la Casa Bianca “tutti i maschi in età militare che si trovano nella zona di attacco sono combattenti (…) a meno che esistano prove postume di intellingence che dimostrino la loro estraneità”. (Citato nel quotidiano La Nacion 31 Maggio 2012 pag 4.)

Si conferma cosi, l’analisi di Tokatliàn rispetto alla politica di Difesa degli Stati Uniti, quando sostiene che a partire dall’11 settembre 2001 ci sono state tre fasi:

  1. 1) La guerra antiterrorismo (Bush figlio)
  2. 2) La guerra anti-insurrezionale ( fine legislatura Bush figlio, inizio Obama)
  3. 3) Il riaggiustamento della guerra antiterrorismo con nuove azioni operative: a) l’impiego delle forze speciali ( Special Operation Forces, SOF) create nel 1987 e incaricate di assassinii selettivi, sequestri extraterritoriali ed attacchi a sorpresa; b) l’uso di droni in Iraq, Afghanistan e Pakistan.

Per quel che veniamo dunque ad esporre, il concetto di “ guerra perpetua” non combacia con quel che ci aspettiamo da un Premio Nobel per la Pace che, come abbiamo osservato, ha accostato alla politica di Bush figlio nuovi ingredienti di aggressività militare. Quel che abbiamo analizzato non passa inosservato nel dibattito che comincia a crescere a West Point. Daremo alla nostra analisi, il necessario tratto geopolitico, per contestualizzarla in maniera totale ed inquadrare, il dibattito di West Point.

Nel 1991, durante la Prima Guerra del Golfo, con il successo fulminante degli Stati Uniti, fece la sua comparsa la Rivoluzione degli Affari Militari (RAM), che consacrava tutta la macchina bellica dell’interoperabilità tecnologica. La vittoria si assicurava a partire dalla dissimmetria o disequilibrio, risultante dal potere tecnologico di un attore, che si traduceva in bombardamenti di precisione, stabilendo una travolgente superiorità qualitativo-quantitativa. Questa dottrina fu nota anche come “Dottrina Powell”, Capo di Stato Maggiore congiunto nel 1991, prima di occupare l’incarico di Segretario di Stato nel periodo tra gennaio 2001 e gennaio 2005.

In verità, dal punto di vista strategico, furono i sovietici coloro che negli anni ’60 inventarono il concetto di Rivoluzione negli Affari Militari per qualificare le trasformazioni della loro dottrina di Difesa, e per lo sviluppo in questo periodo delle armi nucleari e dei missili balistici programmati.

Dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 ed in seguito, dopo l’intervento militare in Afghanistan e Iraq, nascono negli Stati Uniti almeno quattro tipi di scuole che propongono nel dibattito militare gli orientamenti della RAM, il che implica un notevole livello di disorientamento strategico che proviene dal fallimento militare in Afghanistan e Iraq, e che si immerge nell’equazione delle fasi della Guerra al terrorismo, Guerra anti insurrezionale e riaggiustamento della guerra anti terrorismo. Le quattro scuole sono:

  1. 1) La Scuola del Sistema dei Sistemi (system of systems school)
  2. 2) La Scuola della Conoscenza Dominante dello Spazio di Battaglia (Dominant battle space knowledge school)
  3. 3) La Scuola della Portata Globale e del Potere Globale (Global reach, global Power School)
  4. 4) La Scuola della Vulnerabilità (Vulnerability School)

La Scuola del Sistema dei Sistemi ritiene che i computer saranno sempre più efficaci e permetteranno di creare una rete capace di integrare tutti i sistemi esistenti. Si parla addirittura di una guerra gestita come un videogioco.

La Scuola della Conoscenza Dominante dei Campi di Battaglia riprende e approfondisce le idee della prima, aggiungendo ad esse la convinzione che si miglioreranno i rilevatori, rendendo più trasparente il campo di battaglia. Queste prime due scuole, contano sull’appoggio della forza di terra dell’esercito statunitense.

La Scuola della Portata Globale e del Potere Globale pensa che si costruiranno nuove piattaforme che permetteranno di distruggere in molto poco tempo qualsiasi obiettivo posizionato nel mondo. Essa conta sull’appoggio della forza aerea statunitense, che si sforza di dimostrare che si può vincere una guerra senza correre il rischio di perdere una sola vita umana sul terreno.

La Scuola della Vulnerabilità è totalmente diversa dalle precedenti. Mentre le prime tre hanno vissuto l’ottimismo dell’apparentemente promettente progetto militarista globale, questa al contrario è pessimista e riflette lo stato di incertezza e di preoccupazione del dibattito militare degli Stati Uniti. Questa Scuola è l’unica che parla di asimmetria e che si sforza di insistere sul fatto che esistano molteplici pericoli, tra cui l’impreparazione dell’esercito nordamericano noalle guerre asimmetriche, rispetto ai quali la RAM non potrà fare nulla per cambiare le cose. In termini generali, all’inizio la tesi della Vulnerability School era difesa dagli ufficiali non più attivi, e che dunque si potevano esprimere liberamente e contavano su una grande esperienza pratica.

La RAM manca di una strategia di occupazione del territorio, elemento essenziale che permette di convertire la vittoria militare in un fatto duraturo. (Per studiare analiticamente i punti esposti consigliamo: Barthèlemy Courmont, La Guerra. Una Introducción, Alianza Editorial, Madrid 2010).

Adesso la discussione si è allargata ed è entrata a West Point. Il Colonnello Gian P. Gentile, direttore di Storia Militare a West Point e comandante di un battaglione di combattimento a Baghdad, nel 2006 disse: “Senza dubbio lo sforzo non è valso la pena, secondo la mia opinione“. Per il Colonnello Gregory A. Daddis, professore di Storia a West Point, la discussione e la validità del dibattito passa attraverso la revisione della carta delle Forze Armate, né più e né meno: “Oggi non siamo sicuri di cosa serva l’esercito”. Per John Nagl, Tenente Colonnello in congedo che ha combattuto in Iraq e che adesso insegna presso l’Accademia Navale degli Stati Uniti, la politica estera deve “assicurare che non ci mai più bisogno di tornare a fare questo” (The New York Times. Supplemento nel Clarin, BsAs, 2 giugno 2012 pag 5).

Il Sudamerica ha una rendita alimentare, energetica, acquifera in biodiversità nel sistema mondo del XXI secolo. La UNASUR ( Unione delle Nazioni Sudamericane), tramite il Consiglio Sudamericano di Difesa e la CELAC (Comunità degli Stati Latinoamericani e Caraibici), ci proiettano come futuro Stato industriale continentale. Le guerre per le risorse non sono uno scenario da scartare nel contesto geopolitico della seconda indipendenza. La Difesa Nazionale è già un bene regionale per lo Stato continentale che stiamo costruendo, il che implica una dottrina di Sicurezza Cooperativa nell’America del Sud, e di qui la grande importanza di osservare con attenzione e rigorosità quello che sta succedendo negli Stati Uniti e nelle loro Forze Armate.

(Traduzione dallo spagnolo di Lilian De Carvalho Monteiro)


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