Il disturbo tra vicini si valuta caso per caso.

Creato il 02 settembre 2010 da Ilnostrocondominio

Quando il rumore genera liti di vicinato, la «tollerabilità» delle immissioni va valutata caso per caso, e il giudice – oltre a vietare le attività rumorose – può anche dettare regole e accorgimenti tali da ricondurre le attività entro limiti di accettabilità.
La norma base è l'articolo 844 del Codice civile, che stabilisce che il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi. La norma è applicabile nei rapporti tra condomini di uno stesso edificio, sia quando l'immissione molesta e dannosa proviene dal condominio sia quando uno di essi, nel godimento della cosa propria o anche comune, dia luogo ad immissioni intollerabili nella proprietà dell'altro (tribunale di Lodi 28 agosto 2003, n. 10).
Nell'applicazione dell'articolo 844 bisogna tenere conto della peculiarità dei rapporti condominiali e della destinazione assegnata all'edificio dalle disposizioni urbanistiche o – in mancanza – dai proprietari. In particolare, nel caso in cui le unità immobiliari siano soggette a destinazioni differenti (ad esempio abitazione e attività commerciale) il criterio dell'utilità sociale impone di graduare le esigenze in rapporto alle istanze di natura personale ed economica dei condomini, privilegiando, alla luce dei principi costituzionali, le esigenze personali di vita connesse al l'abitazione, rispetto alle utilità meramente economiche inerenti all'esercizio di attività commerciali (Cassazione 15 marzo 1993 n. 3090).
L'assolutezza e l'incomprimibilità del diritto non escludono la necessità di accertare quali siano le condizioni oggettive nel cui contesto il diritto viene esercitato, e se sia razionale il sacrificio totale di ogni altra esigenza in potenziale conflitto con esso, tenuto anche conto che la ricerca dell'effettiva esistenza della menomazione – ossia del confine tra un'attività che reca un semplice fastidio psico-fisico e un'attività che determina una vera e propria menomazione di quel bene, nel senso di dar luogo ad oggettivi fenomeni patologici fisici o psichici – non può essere compiuta con criteri puramente astratti.
Nel corso degli anni, giudici hanno affermato che l'applicabilità dell'articolo 844 richiede l'accertamento caso per caso della liceità o illiceità delle immissioni (tribunale di Varese 3 giugno 1997) e che l'intollerabilità in concreto può riscontrarsi anche quando le emissioni non superino i limiti fissati dalle norme di interesse generale (tribunale di Venezia 4 ottobre 2004).
Pertanto, sia al fine di accertare la concreta sussistenza della lesione, sia al fine di stabilire le concrete modalità della tutela, è giustificato il ricorso all'applicazione analogica delle disposizioni dell'articolo 844 in tema di immissioni moleste, laddove fanno riferimento al criterio della tollerabilità e alla possibilità di estendere l'intervento del giudice al di là della barriera dell'inibizione assoluta, in modo da ricomprendere la determinazione dei mezzi necessari per ricondurre l'attività nei limiti del diritto.
Le propagazioni nel fondo del vicino che oltrepassino il limite della normale tollerabilità costituiscono un fatto illecito perseguibile, in via cumulativa, con l'azione diretta a farle cessare (avente carattere reale e natura negatoria) e con quella intesa ad ottenere il risarcimento del pregiudizio che ne sia derivato (di natura personale), a prescindere dalla circostanza che il pregiudizio sia temporaneo e non definitivo (Cassazione 2 giugno 2000, n. 7420).
L'azione diretta a far valere il divieto di immissioni eccedenti la normale tollerabilità può essere esperita anche nei confronti dell'autore materiale delle immissioni che non sia proprietario dell'immobile da cui derivano e, quindi, anche nei confronti del locatore di questo stesso immobile quando soltanto a costui possa essere imposto un obbligo di fare o di non fare suscettibile di esecuzione forzata in caso di diniego (Cassazione, 1° dicembre 2000 n. 15392).
Fonte: Maurizio de Tilla de Il Sole 24Ore

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