Finalmente ho l'occasione di dedicare un articolo a John Fante (1909-1983), un grande scrittore che merita maggiore attenzione. Ma oggi non vi parlerò dei suoi capolavori, dei romanzi Chiedi alla polvere (1939) La Confraternita dell'Uva (1977), o di altre note opere come Aspetta Primavera Bandini (1938) o Una vita piena (1952), nonostante siano libri fantastici, che tempo fa, seguendo le imbeccate del buon Bukowski, mi hanno convinto della grandezza di questo autore. In realtà ho letto solo due romanzi di Fante (Chiedi alla polvere e La Confraternita dell'Uva), ma sono bastati per regalarmi grandi emozioni, ma anche uno dei personaggi più scintillanti mai materializzati dalla letteratura (almeno a mia parere): Camilla Lopez di Chiedi alla polvere, disegnata da Fante con incredibile bravura.
Tornando all'articolo di oggi, escludendo dunque i romanzi, ho pensato di approcciare la narrativa di Fante attraverso una raccolta di racconti, Dago Red (1940) concentrandomi su un racconto in particolare, Uno di noi, di quelli che non si dimenticano facilmente. Penso che questo racconto agrodolce rappresenti in pieno la narrativa e le ambientazioni etnografiche di Fante, riuscendo a comunicare con la dovuta ampiezza l'eccezionale efficacia dell'autore anche nella narrativa breve. In ogni caso la raccolta Dago Red può essere annoverata, insieme ai romanzi che ho citato, tra le migliori opere di Fante.
I racconti raccolti in Dago Red fanno parte della produzione dell'autore nel periodo 1932-1939, si tratta di opere originariamente pubblicate su diverse riviste letterarie; ben sette dei racconti di Dago Red sono stati pubblicati sulla celebre e ambita The America Mercury, gli altri su testate come The Atlantic Monthly e Haper's Bazar. Dago Red comprende anche il primo vero racconto di Fante, Chierichetto (Altar Boy, 1932) pubblicato su The America Mercury, che rappresenta l'esordio letterario dell'autore e l'inizio della sua carriera da scrittore professionista (certificato dall'assegno di $175 spedito dalla rivista). I racconti di Dago Red offrono un quadro completo dell'universo Fante, sia artistico che personale, un ritratto nitido dell'uomo e dello scrittore, della sua narrativa estremamente autobiografica che respira sulle due ambientazioni principali che l'autore sceglie per far muovere le sue storie, il Colorado (il quartiere Italiano di North Denver e Boulder) e la California (con La Los Angeles del suo alter-ego Arturo Bandini e di Chiedi alla polvere). Colorado e California che rappresentano, nella realtà, l'infanzia e la maturità di Fante. Due spazi di realtà che l'autore colma con le memorie (vivissime) delle sue origini italiane: la povertà, la famiglia, l'educazione cattolica.
Per questi motivi credo che le storie di Dago Red possano presentare al meglio e nel suo complesso l'autore, prima di affrontare i romanzi e le varie evoluzioni artistiche dell'autore, tra le lunghissime pause e le improvvise scintille della sua produzione. Per chi invece già conosce Fante (probabilmente per Chiedi alla polvere) in Dago Red potrà scoprire la narrativa breve dell'autore e le radici del suo immaginario, attraverso le accese e microscopiche descrizioni, i ritratti deformati o mascherati dell'onnipresente padre e della sua famiglia. Insomma, Dago Red è un modo per sedersi a tavola con la famiglia Fante, con una bottiglia di vino sul tavolo da condividere, proprio quello che offre il nome alla raccolta, Dago Red, il vino rosso rubino bevuto dai dago (traducibile con l'orribile "terroni"), gli Italiani d'America.
Tra i vari racconti di Dago Red, ho scelto di presentare Uno di noi, che a mio parere emerge per profondità e completezza, pur rimanendo perfetto testimone dell'immaginario di Fante, in questo caso forse nella migliore interpretazione (nella narrativa breve) del suo vivace e intimo cosmo, ironico e amaro, ricco di vecchie fotografie ma anche di nuove prospettive narrative.
Dl'altronde le magnifiche capacità di Fante nella narrativa breve sono facilmente riscontrabili anche attraverso la lettura dei suoi romanzi, come alcuni capitoli di Chiedi alla polvere o Aspetta primavera Bandini che sono così ben sviluppati dall'autore da poter essere letti autonomamente. Questo è confermato dall'idea originaria di Fante di includere nella raccolta Dago Red un capitolo di Chiedi alla polvere come racconto a se stante (con piccole modifiche).
Tornano al racconto Uno di noi, in coda all'articolo potete leggerne alcuni estratti che ho selezionato per entrare in confidenza con la narrativa di Fante e con questa storia a doppio binario che esplora il mondo famigliare dell'autore e arriva a sfiorare, con piccoli passi, l'universale. Per chi deciderà di leggere integralmente il racconto nel libro Dago Red, avviso che nell'ultimo estratto è riportato il finale completo del racconto, che si offre come straordinario collante tra il lettore e Fante, sia per la storia in particolare, che finalmente esplode dopo tante avvisaglie, che per il linguaggio emotivo dell'autore, col quale si entra facilmente in empatia. Il racconto inizia con un telegramma improvviso, che provoca reazioni a catena in una famiglia, dove chi conosce Fante scoprirà presto un giovane Bandini, lo scrittore squattrinato protagonista dei romanzi di Fante. Uno di noi è un racconto embrione del mondo di Fante, che si sviluppa attraverso una serie di istantanee, appese alle mollette tra odori e sapori, tra risate e lacrime, tra cravatte bucate e nuvole di sigari, in attesa della prima curva dopo le tante salite e discese, dell'ultima immagine che ci forma un ricordo, che non può essere semplicemente artificiale.
Uno di noi da Dago Red di John Fante Estratti del racconto
Mia madre aveva appena portato in cucina gli ultimi piatti della cena quando trillò il campanello. Ci alzammo tutti, come fossimo una congregazione di fedeli, e ci precipitammo verso la porta per rispondere. Mike arrivò per primo. Spalancò la porta e tutti noialtri mettemmo fuori il naso. C'era un ragazzo in uniforme con in mano un cappello e un telegramma. - Telegramma per Maria Toscana - annunciò. - Un telegramma, papà! - gridò Mike. - E' morto qualcuno! E' morto qualcuno! Telegrammi, a casa nostra, ne arrivano soltanto quando qualcuno della famiglia se ne andava. Da quando c'eravamo noi bambini, era successo tre volte, in occasione delle morti di mio nonno, di mia nonna, e di mio zio. Una volta, per la verità, era arrivato un altro telegramma, ma per sbaglio. L'avevamo trovato sotto la porta, una sera che eravamo rientrati tardi. Ne eravamo rimasti molto sorpresi, in quanto conteneva gli auguri di compleanno per una certa Elsie, che nessuno di noi conosceva. Però la cosa più sorprendente era stata che non si trattava dell'annuncio della morte di qualcuno. Fino a quel momento, non ci era mai capitato di pensare che i telegrammi potessero servire a scopi diversi da quello (...)
Dopo cena mia madre non voleva che Mike uscisse. Tutti gli altri sì, Mike invece dovette rimanersene in cucina con lei. Poteva sentire le nostre grida in cortile, e si mise a piangere e a dar calci alla stufa, ma mia madre fu irremovibile. Ne fu sorpreso anche mio padre. Quando andò in cucina a dirle che era matta e irragionevole, lei gli si rivoltò contro, con gli occhi ancora pieni di pianto, e gli disse di tornarsene al suo giornale a occuparsi degli affari suoi. Lui, ciucciando uno stuzzicandenti, abbassò gli occhi, fece spallucce e ritornò alle sue letture. - Ma mamma, - continuava a implorarla Mike, - non sono io quello che è morto, non lo vedi? - Grazie a Dio, grazie a Dio Onnipotente! Quella sera vennero a trovarci lo zio Giuseppe e la zia Cristina. Zia Cristina era la più giovane tra mia madre e zia Carlotta. Anche lei aveva ricevuto il telegramma. Mia madre si asciugò le mani bagnate di sciacquatura di piatti quando la vide arrivare, poi si strinsero in un abbraccio e rimasero li in salotto, a piangersi addosso. (...) Mio padre e zio Giuseppe fumavano in silenzio i loro sigari. La morte, per quelle persone, era il mistero supremo; e le donne si rassegnavano fervorose alla volontà dell'Onnipotente. Gli uomini invece si aggrappavano a quei vecchi luoghi comuni, vecchi come la mente umana.
(...) Il telegramma diceva che il funerale si sarebbe celebrato alla tre. Con la littorina, ci si metteva soltanto un'ora a arrivare a Denver, ma quando qualcuno della nostra famiglia doveva andare da una parte qualsiasi, per casa succedeva sempre il quarantotto. Mamman non riusciva a trovare le forcine per i capelli, Mike non trovava la sua cravatta nuova. Quando la trovò nella dispensa, vide che i topi avevano rosicchiato un buco, e allora dovette mettersene una vecchia di papà. Ripiegando sul petto quella cravatta senza fine, si lamentava: - Non mi piace! Guarda quant'è grande" E' una cravatta da vecchio! (...)
(...) Poi vedemmo lo zio Frank. Era alla finestra. Non si era mosso quando eravamo entrati, era rimasto fermo con le sue mani pelose infilate nelle tasche posteriori. Con noi aveva parlato assai di rado, però era gentile, e generoso, e ogni anno ci mandava dei pigiami per Natale. Di lui non sapevamo granchè, a parte che faceva l'elettricista. Era un uomo alto dal collo sottile; la colonna vertebrale gli si curava come fosse una fune appena al di sotto della pelle e pareva sempre appena uscito dal barbiere. Il suo corpo non era scosso dai singhiozzi, e allorchè scorgemmo nel vetro della finestra l'immagine riflessa dei suoi occhi asciutti fummo molto meravigliati dal fatto che non stessero stillando alcuna lacrima. Non riuscivamo a capire. - Perchè non piange? - mormorò Mike. -E' lui il padre, no?
(...) Mi venne dietro quando mi diressi verso la finestra sopra il cortile di dietro. Guardammo fuori: era un caldo pomeriggio domenicale, e vedemmo ciò che zio Frank stava guardando nel momento in cui eravamo entrati. Si trattava della bicicletta scassata. L'avevano appoggiata al ceneratoio e era un groppo di metallo ritorto. Da dietro una spalla, Mike stava continuando a fissare zio Frank, come in attesa che lo picchiasse, e quando zio Frank si alzò dal letto dirigendosi alla finestra e si fermò vicino a noi, si rifugiò tra le mie braccia pigolando di paura. Sul viso di zio Frank si dipinse un sorriso tragico. - Non aver paura, non voglio farti del male, Mike. Accarezzò i miei capelli, e tanto mi bastò per percepire il secco della sua mano e tutta la sua tristezza. (...)
[SPOILER - Attenzione: l'estratto seguente riporta il finale del racconto]
(...) Disse Mike: - Tu non piangi mai, zio Frank? - Mike! - disse mia madre. - Be', allora perchè non piange? Perchè, zio Frank? - Mike! - Sta' buono, Mike, - dissi io. - Ma insomma, perchè non piange? Zio Frank si portò le mani alle tempie. - Ora sto piangendo, Mike, - disse. - No, non è vero - Mike! - Be', non è vero - Zitto, Mike, - dissi io. Tu non hai pianto al cimitero, e invece tutti stavano piangendo. - Mike! - Era l'unico che non piangeva, ho controllato. - Mike! Vattene via! Mike uscì, arrabbiatissimo, e si sedette sul dondolo davanti alla finestra, mostrando la schiena a Zio Frank. Incominciò a dondolarsi furiosamente, allungando le gambe quando tornava indietro. Zio Frank si allontanò dalla finestra e anche lui scese fuori. Si chinò sul dondolo e sorrise a Mike. Poi parlò. Io osservavo dalla finestra, ma non potevo sentire quello che diceva. Mike fece un sorrisetto, e tutti e due si avviarono verso la veranda e poi sulla strada. - Dove stanno andando? - chiese mia madre. - Non lo so, - risposi. Passò una mezz'ora senza che tornassero, e mia madre e la zia mi spedirono a cercarli. percorsi un pezzo di strada, fino al negozio all'angolo, e ecco dove li trovai. Stavano seduti, Mike sorseggiava goloso un frappè, e zio Frank gli stava davanti, col viso nelle mani e grandi lacrime che scivolavano dalle sue guance e cadevano sul tavolo mentre guardava Mike e il suo frappè.
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