Domenica, l’Ufficio Informazioni del Consiglio di Stato ha divulgato un rapporto intitolato L’Indice dei Diritti Umani negli Stati Uniti nel 2012. Si tratta della quattordicesima volta consecutiva in cui la Cina ha nuovamente controbattuto alla relazione annuale di Washington in materia di diritti umani nel mondo. Gli osservatori cinesi stanno dedicando molta attenzione a questa guerra della comunicazione in ambito di diritti umani, che a lungo ha costituito fonte di tensioni tra le due più grandi economie del pianeta. Negli ultimi due anni, è avvenuto un lieve cambiamento nel confronto sulla questione dei diritti umani. Lo scorso ottobre, la Duma della Federazione Russa, camera bassa del Parlamento, per la prima volta ha tenuto un’assemblea di tre ore sul tema della violazione dei diritti umani negli Stati Uniti e ha pubblicato il suo primo rapporto annuale criticando la violazione dei diritti umani da parte degli Stati Uniti.
Lo scorso anno è sorta anche una discussione in virtù della quale diversi Paesi, tra cui Cina, Russia, Singapore, Venezuela, Cuba e Colombia, hanno messo in dubbio la credibilità del giudizio di Washington in merito alla condizione dei diritti umani nel mondo. La questione dei diritti umani è un problema di portata mondiale e sembra che sia le posizioni di offesa che quelle di difesa in questo confronto si stiano progressivamente interscambiando.
Il doppio standard che Washington strumentalizza in merito alla questione dei diritti umani emerge con evidenza nel suo ultimo rapporto. Per esempio, l’opuscolo sottolinea un “deterioramento” dei diritti umani in Cina e in Vietnam, pur approvando un progresso significativo in Myanmar, descritto come “un passaggio storico verso la democrazia”. Una simile valutazione è uno strumento politico ben manipolato.
Per quanto riguarda la Cina in particolare, vi è un contrasto sempre più evidente tra le condizioni dei diritti umani denunciate dagli Stati Uniti e quelle che i cinesi percepiscono realmente nella vita di tutti i giorni.
Washington ignora la tendenza generale dell’indice di sviluppo dei diritti umani in Cina, tuttavia individua alcuni singoli dissidenti e in base alle loro considerazioni conclude che la Cina fa ricorso “sistematico” a leggi speciali per mettere a tacere gli individui e sopprimere la libertà. Come gli esperti hanno delineato, tra le varie carte strategiche che gli Stati Uniti possono giocarsi contro la Cina, un considerevole attacco nel campo dei diritti umani è quella più conveniente. Ma i cinesi non dovrebbero essere eccessivamente disturbati da queste accuse costanti.
Da un lato, dovremmo dimostrare un’apertura mentale verso le critiche provenienti dall’esterno, che possono essere integrate all’interno della linea-guida del progresso domestico. Abbiamo senz’altro un ampio margine per la risoluzione dei problemi interni e per il miglioramento dei diritti umani. Questo aiuterà anche ad allentare la pressione strategica da parte di Washington. Tuttavia, dall’altro lato dovremmo mostrare sangue freddo nella misura in cui la Cina non può abbandonare le sue caratteristiche politiche.
Dopo tutto, la nazione non accetterà mai i parametri imposti da Washington nel campo dei diritti umani, che secondo il metro valutativo di Washington significano letteralmente esportare il modello statunitense e le sue proprie specificità.
*Su Li è redattrice capo del quotidiano cinese “Global Times”, tabloid internazionale del “Quotidiano del Popolo”.
FONTE: Global Times del 22 aprile 2013, pag. 12
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