Il dottor Babbarabbà e il Super-Io. Atto I

Creato il 28 aprile 2011 da Cultura Salentina

© Pasquale Urso: Acquaforte

Un sogno senza fine e senza fini

Immaginiamo che un uomo molto impegnato, molto importante e molto stressato abbia trascorso una notte finalmente serena, popolata di sogni poetici, tali da travolgere la prosaicità della sua vita, ricca (e nemmeno tanto) di soldi, ma terribilmente povera di sentimento. E immaginiamo che quest’uomo avverta la necessità di dare una continuità ai suoi sogni, pur senza obbiettivi concreti, per renderli infiniti e di prendersi, perciò, un giorno di ferie non già dal lavoro, ma dal logorio inerte di una vita arida e sterile.

Immaginiamo che quest’uomo decida di avocare a sé il sacrosanto diritto di oziare per un’intera giornata, all’interno della sua casa, in compagnia di uno scomodo ospite stanziale, il suo Super-Io, in un’afoso e sonnolento fine settimana di una torrida estate salentina.

E allora, venite con me a scoprire che tipo di riflessioni potrebbero venir fuori dalla fervida e creativa mente del dottor Pigi Babbarabbà, misconosciuto manager della sanità pubblica pugliese del terzo millennio. Per questo motivo, ho deciso di riportare alcune delle sue più frequenti fantasticherie, un dialogo metafisico e metaforico con il suo Super-Io: un incomprensibile miscuglio di strampalate idee in fuga, in rapida ed inarrestabile espansione in tutte le direzioni dello spazio, verso l’infinito, proprio come i famosi gas perfetti di Van Der Waals o, poeticamente, come un sogno senza fine, e senza fini.

Atto I: all’ora del risveglio mattutino

Dei sogni e dei ricordi
Caro il mio Super-Io, capirai d’esser giunto alle soglie del tramonto, quando, sulla bilancia dei valori, vedrai il peso dei ricordi sovrastare quello, luminoso, dei tuoi sogni. Per il momento, però, per quanto mi riguarda, sappi che la prua della mio veliero, pur di bolina, continua a fendere decisa le alte e bianche spume verso l’Oriente, verso i primi bagliori del nuovo giorno.

Del medico, del paziente e della malattia
Checché tu ne possa pensare, amico mio, resto ancora fiero (nonostante tutto) di aver studiato da medico. anche se, in verità, da qualche tempo un po’ mi manca il contatto diretto col paziente. Oggi la mia attività prevalente è l’organizzazione e la gestione dei servizi sanitari, ma non credere che questa sia poi un’attività meno importante di quella del clinico. Ti basti, in proposito, una tanto semplice, quanto tutt’latro che banale considerazione: mi sono laureato nel lontano 1977 ed oggi siamo già abbondantemente nel 2011; ebbene, la conoscenza non è immortale: con il tempo invecchia ed, alla fine, diventa inservibile, da buttar via.

Ciò assodato, se nel 2011 le conoscenze scientifiche di un qualsiasi medico in attività clinica fossero rimaste quelle del 1977, ci pensi agli effetti sui poveri malati? Anche in medicina, perciò, è sempre la cultura (e, con essa, la formazione e l’acquisizione di nuova conoscenza concretamente utilizzabile nella pratica clinica) lo strumento virtuoso per un reale miglioramento continuo della qualità. Ma non voglio correre il rischio di sembrarti scolastico, troppo ligio agli schemi e, per questo, ti confiderò (ma lo dovresti sapere, in fondo) che è stato proprio un paziente a guidarmi nel più efficace corso di formazione e di conoscenza reale della malattia; un paziente speciale, certo: Florio Santini, sì, proprio lui, il mio “maestro di letteratura”. Nel corso dei nostri infrequenti, ma intensi dialoghi, Florio è riuscito ad insegnarmi un nuovo approccio contro la malattia, anzi, “con” la malattia, spiegandomi come gli fosse riuscita l’impresa di convivere, per oltre un decennio ed in età già avanzata, si potrebbe dire quasi “in simbiosi” con il cancro, il quale, per tutta risposta, tenne, con lui, un atteggiamento insolitamente “benevolo”.

Florio aveva raggiunto un punto di stabile equilibrio, stringendo un’insolita alleanza con il suo “scomodo clandestino a bordo”, come usava definire il suo cancro alla prostata. Forte dei preziosi suggerimenti della consorte orientale, riuscì a concordare precise regole con il suo ospite, un vero e proprio patto di non aggressione reciproca, sebbene gli fosse rimasto sul groppone il rammarico di doversi “sciroppare” una lunga cura a base di estrogeni: ormoni femminili, capisci? Una vera e propria onta, per uno come lui (che non a caso la madre chiamava “vanesio”, con toscana ironia), orgoglioso della sua “fiera” virilità, icona di un ancestrale narcisismo tutto maschile, forse legato all’influsso ormonale del testosterone, unito alla contemplazione del suo profilo migliore, quello sinistro, dai tratti magicamente etruschi. Per anni ed anni Florio continuò a cavalcare la tigre, con fermezza e coraggio, finché alla fine la fiera non stramazzò a terra esausta. Il mio maestro di letteratura aveva vinto la sua battaglia contro il cancro, ma nulla riuscì a fare contro l’ineluttabilità del tempo.

Caro Florio, ci hai lasciati all’età di 85 anni ed, in fondo, ti dovresti compiacere con te stesso per essere riuscito a far davvero tanto, nella vita. ma, se ti conosco bene, ti sarà anche dispiaciuto (e non poco) il fatto di non essere riuscito a terminare il tuo ultimo lavoro nel quale volevi condensare tutti i principi della tua filosofia di vita; d’altro canto, ce ne avevi persino già (pre)annunciati alcuni, in uno dei tuoi tanti stupendi diari di “asino arpista”: “Essere insolito, se non inspiegabile, significa essere un accadimento del tutto diverso dall’ordinario ed io sempre amai e preferii lo straordinario”. Mah, credo proprio sia stata fin troppo lunga, questa mia seconda riflessione, forse stucchevole e probabilmente fuori tema: “Del medico, del paziente e della malattia”.

Si dà il caso, però, amico mio, che a volte medico e paziente coincidano, che gli elementi del discorso si mescolino a tal punto da produrre un amalgama perfetto, fino a risultare indistinti e indistinguibili. Fu così che mi tramutai da medico in paziente, mentre Florio, da pietoso paziente, divenne uno spietato “untore” di manzoniana memoria, al punto da contagiare me, proprio il suo caro amico e fidato medico curante, di un “morbo” incurabile: “Sindrome da mal di scrivere”, si chiama codesta malattia, a prognosi riservata ed ancor più grave se associata (come nel mio caso) alla “Sindrome dello scriver male”.

Ma, tant’è! Persino tu, mio inseparabile Super-Io, permeato di socratici buoni sentimenti, spesso mi ricordi: “Vivi e lascia vivere, scrivi e lascia scrivere”. e fin qui, non avrei davvero nulla da eccepire, ma poi, all’improvviso, mi riservi questo amarissimo post-scriptum (o si può dire anche “post-dictum”?): “Per amor del Cielo, non essere così crudele da far leggere i tuoi orribili pensieri al prossimo tuo; se non vuoi che la tua anima punti dritta al fuoco eterno, cerca di essere clemente con i tuoi simili, che non hanno alcuna colpa: è già tanto che tocchi a me, tuo infelice alter ego, sorbire i tuoi stravaganti pensieri, le tue strampalatissime riflessioni vespertine. Abbi pietà di questo povero spirito: risparmiami, ti prego!”. Povero, il mio Super-Io! Il destino ha voluto che tu nascessi al mio fianco: che ci vuoi fare? Con chi te la vuoi prendere? Su, coraggio: magari ti andrà meglio la prossima volta!


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